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24 ore di turno e due anni consecutivi al lavoro. Lo strano caso del primario Giosuè Carduccio, stacanovista dell’urgenza

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Mussomeli –   Un 2025 da record, Una missione, una vocazione e una maratona corsa  in camice. Si dice che il capitano sia l’ultimo ad abbandonare la nave. E così è stato anche al Pronto Soccorso dell’Immacolata Longo di Mussomeli nella sfrenata notte dei botti di fine anno. Dove, calendario alla mano, si potrebbe dire, senza timore di smentita alcuna, che il direttore del reparto, Giosuè Carduccio, abbia trascorso due anni consecutivi, di turno in ospedale. Ebbene sì, notte del 31 dicembre e giorno di capodanno. Tradotto in soldoni 20.00 – 20.00 che equivale a 24 ore tonde di servizio. Da medico di pronto soccorso. Ci teniamo a sottolineare. Che non è un dettaglio. Sommato peraltro all’altro piccolo dettaglio -una nota di ilarità in una vicenda che di ilare ha davvero poco- che è entrato, in ospedale, la sera del 2024 ed è uscito la sera del 2025. Sbronzo di certo ma non certo per via dell’alcool, quanto per le estenuanti ore di lavoro, interrotte solo da qualche rara ora di sonno. Sì e no. Nessun j’accuse, da una parte nè dall’altra, ma la semplice constatazione che fra lasciare il servizio chiuso e immolarsi l’ultimo e il primo dell’anno, a costo di sentirsi apostrofare per la troppa bontà che si sa quando è troppa si trasforma in qualcosa d’altro… il primario prossimo al pensionamento, ha scelto ancora una volta di rispondere a quella vocazione, divina o umana che sia. Quella chiamata che se non la senti è veramente difficile da spiegare. Così come però è altrettanto difficile farsene una ragione. Al netto di tutti gli auspici possibili, disattesi sempre, solo il conforto di un collega presente al piano di sopra che potesse supportare un momento di cedimento, fisico o mentale, è stata l’unica nota di umanità e di quei legami speciali che si intrecciano fra camici bianchi spiegati sul campo di una triste periferia, ultimo contraltare ai calici alzati, di quel “caos di fango, di neve, … brulicante di cupidità e disperazioni…” dove quell’asino consegnatoci dal poeta dello spleen, non badò al signore coi guanti, lustro e incravattato che cerimonioso augurava Buon anno all’umile animale ma continuò zelante a correre dove il dovere lo chiamava. Noncurante di quel burlone rimasto in cerca di consensi!

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