Home Cronaca A sessantasette anni se ne va Vincenzo Caruso

A sessantasette anni se ne va Vincenzo Caruso

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Mussomeli – E’ stato un acerrimo ed integerrimo lavoratore. Almeno fino a quando la vita, terrena, glielo ha permesso. Poi, per un insolito, quanto beffardo, screzio del destino, è stato relegato a più lunga ed indesiderata vita sedentaria. Quasi un impietoso contrappasso dato per contrasto. Così, prima del compimento di quella terza ed ultima stagione della vita, se n’è andato, stanotte, a sessantasette anni, Vincenzo Caruso, all’ospedale Sant’Elia, dov’era ricoverato da giorni. Aveva affrontato coraggiosamente, e con dignità, le sofferenze e le dure prove della vita. Con l’atteggiamento discreto e taciturno degli umili. Ma l’ultima prova è stata quella decisiva, che ha decretato il suo destino di uomo mortale. Se n’è andato, Vincenzo, amorevolmente assistito dalla moglie Ianina che, della cura del marito, invero, ne ha fatto la propria ragione di vita, e della figlia Enza che, dal padre, ha ereditato uno spiccato senso del dovere. Un padre che, una volta congedatosi dal lavoro, ha condotto la sua esistenza, in quel quartiere della Madonna dell’Aiuto, dove sicuramente non gli sono mancati la presenza e l’affetto dei vicini. Per i quali Vincenzo aveva sempre una parola gentile. E, se c’era bisogno, anche altro. E, come sempre accade in questi casi, quando la presenza fisica indugia in quel limbo fra questo e l’altro mondo, e la pietà umana si esprime tutta in quella cura, pure dei morti, di loro, dei nostri defunti non ci rimane che contemplare quanto e quello che ci hanno lasciato. Trasmesso. Fosse anche quel benessere materiale che, in ultima analisi, altro non è che il risultato dell’amore viscerale di un genitore e di quel senso del dovere che fa grandi i padri. Il frutto del sacrificio di chi sa portare sulle spalle fardelli pesanti senza mai lamentarsi. Per un’ora di più, piuttosto che per un lavoro festivo. Unico svago, negli ultimi anni, per Vincenzo era recarsi in campagna, nel suo appezzamento di terra alle pendici del castello dove riusciva, con l’aiuto, a coltivare un orticello. Per la famiglia e per gli amici. Anche donare era una gratificazione per lui. Ha avuto la fortuna di vedere crescere i due nipoti Beatrice e Gianpaolo che conservano il ricordo di un nonno sicuramente sofferente ma tenace combattente.

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