Gela – Sulla spalla si sarebbe tatuato, ma erano altri tempi, il volto del suo padrino ritenuto a capo della cosiddetta “terza mafia” di Gela. Una unicità solo di quella fetta di territorio.
Un passato, quello legato alle cosche, che poi ha sconfessato pienamente. Fino a saltare il fosso per aprire una nuova stagione attraverso un rapporto di collaborazione con la giustizia.
E in questo suo nuovo percorso s’è poi ritrovato il gelese Emanuele Cascino, che qualche anno addietro ha rivelato ai magistrati i segreti di quel clan che, per i magistrati, avrebbe fatto capo proprio al suo padrino.
Lo stesso che dal carcere, poi, dopo un presunto tradimento del figlioccio per questioni estorsive, lo avrebbe minacciato con un biglietto che avrebbe riportato un messaggio in codice. Un avvertimento eloquente
Ora sul suo capo pende una richiesta di condanna a 4 anni di reclusione per estorsioni che si sarebbero consumate sotto l’ala della mafia.
Proprio di quella presunta frangia, esterna sia a Cosa nostra che alla Stidda, che – per gli inquirenti – sarebbe stata capeggiata da Giuseppe Alfieri.
Uno scenario, quello che vede adesso al centro Alfieri di un procedimento, che sembra stridere con quell’immagine che tanti anni addietro si era fatto tatuare su una spalla. Un passato che, per lui, non esisterebbe più. Ma che processualmente ritorna e pende su lui.