«Basta Stato Mafia». È il corteo di resistenza popolare, per un’antimafia intersezionale e sociale, assieme a diverse associazioni e ai movimenti che hanno aderito all’iniziativa, che sfilerà il 19 luglio in occasione del trentunesimo anniversario della strage di via D’Amelio in cui morirono Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. Il corteo partirà il 19 luglio alle 15 dall’albero Falcone, in via Notarbartolo, e raggiungerà la via D’Amelio, fermandosi in alcune tappe durante il percorso. «Scendiamo in piazza il 19 luglio, perché la strage di via D’Amelio non è solo l’evento in cui persero la vita il giudice Borsellino e Vincenzo Li Muli, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Via D’Amelio è il luogo in cui avvenne uno dei più grandi depistaggi della storia della Repubblica, che partì subito, con la sparizione dell’agenda rossa per mano di un funzionario di Stato e con le tante anomalie sul luogo dell’eccidio», hanno premesso gli organizzatori. E la lista dei promotori è lunga. Conta ben oltre una dozzina di associazioni e rappresentante con l’adesione di altre ventidue parti – come il centro studi Paolo e Rita Borsellino – ma il numero è destinato a crescere. «Dopo trentuno anni segnati da troppe ipocrisie e da silenzi istituzionali, pretendiamo dal governo il massimo impegno e la massima attenzione nel contrasto alle mafie e alla corruzione. Chiediamo l’apertura completa degli archivi dei servizi segreti degli anni delle stragi, affinché sia possibile fare chiarezza sul comportamento in primo luogo degli agenti dello Stato. Vogliamo conoscere i nomi dei mandanti esterni delle stragi, perché nessuno oggi può avere ormai dubbi che non fu solo mafia.
«La politica – hanno aggiunto – deve avere le carte in regola per combattere la mafia: questo significa essere credibili nei propri comportamenti. Significa valorizzare la questione morale e non legittimare figure politiche della nostra attuale classe dirigente che hanno avuto collegamenti accertati con la stessa. Avere le carte in regola significa, inoltre, valorizzare ciò che gran parte della politica sembra avere scordato: la lotta alla mafia si fa prima di tutto dando diritti, costruendo un mondo più giusto e meno diseguale, dando alternative al welfare criminale e non recludendola ad una semplice repressione dello Stato. Si fa raccontando i rapporti che ci sono stati nel corso della storia della nostra Repubblica tra gruppi neo-fascisti e la mafia; denunciando la recente sparizione di faldoni di inchiesta sul coinvolgimento del neofascista Stefano Delle Chiaie nelle stragi e l’inopportunità dell’elezione di Chiara Colosimo come presidentessa dell’attuale commissione parlamentare antimafia: inopportunità dovuta ai suoi rapporti con Luigi Ciavardini, condannato, in via definitiva, come esecutore materiale della strage di Bologna».
E, sempre guardando alla questione dell’integrità morale, hanno rimarcato come vada percorso «il solco già tracciato dai migliori esempi del movimento antimafia, da Pio La Torre a Peppino Impastato: dicendo no alla guerra, perché la guerra è un business per le mafie, nelle mani di faccendieri, generali, politici e mafiosi, che in nome della pace stanno portando il mondo alla distruzione. Si fa opponendoci all’invio delle armi, alla militarizzazione del Mediterraneo e dei nostri territori e alla progressiva assuefazione alle armi. Si fa denunciando i finanziamenti italiani al governo libico, il cui ministro degli Esteri è schedato dalle Nazioni Unite come uno dei più potenti trafficanti al mondo. Si fa, inoltre, tutelando i beni comuni, l’ambiente e i territori, sempre più devastati dalle multinazionali che speculano sul “green washing” e dalle eco-mafie che lucrano lungo l’intera catena di produzione e smaltimento dei rifiuti».
Importante poi «tutelare una sanità pubblica e adeguata, la dignità e la sicurezza nel lavoro, il reddito di base, il diritto ad una casa e ad un territorio salubre e funzionale alle esigenze di chi lo vive. Pretendendo l’attuazione di politiche sociali che garantiscano l’accesso indiscriminato ai servizi e rifiutando politiche repressive che forniscono una narrazione tossica e stigmatizzante di tanti luoghi della città e lasciano spazio alle mafie nel controllo delle piazze di spaccio, nella gestione della tratta sessuale e nel caporalato delle campagne. Si fa, ancora, non lasciando soli coloro che quotidianamente vivono dinamiche legate alle dipendenze patologiche; fornendo servizi di bassissima, bassa, media, alta soglia, di riduzione del danno… Si fa realizzando un sistema che coniughi sviluppo con ambiente, progresso con giustizia sociale, lavoro con diritti, per liberare ogni persona dalla precarietà e da condizioni di sfruttamento sociale e lavorativo su cui si arricchiscono anche le mafie».