Caltanissetta – Condannati per la “cresta” sulle buste paga delle loro dipendenti. E questa volta, ma dopo ben cinque processi, il verdetto è divenuto definitivo. Sì, perché il rigetto da parte della Cassazione ha posato la pietra tombale sulla vicenda giudiziaria.
Condanne definitive a 3 anni e 7 mesi di carcere per la sessantottenne Laura Piscopo ex amministratrice unica della «Almas srl» – società che commercializzava abbigliamento al dettaglio e all’ingrosso – e per il marito, il settantaduenne Gaetano Abate socio della stessa ditta – difesi dagli avvocati Alfredo Danesi e Giuseppe Fussone), finiti sul banco degli imputati per rispondere di estorsione con l’aggravante, per l’accusa, di avere commesso il fatto con abuso di autorità.
In più dovranno pure risarcire le parti civili, ruolo questo rivestito dalle settantenni Rita Daniela Sabatino e Valeria Pennisi e la cinquantunenne Rosa Maria Lo Cascio – assistite dagli avvocati Dino Milazzo e Cristian Morgana – tutte e tre lavoratrici della «Almas» e dalle cui denunce ha preso le mosse l’indagine.
Marito e moglie, in primo grado,sono stati assolti. Poi nel primo appello è arrivata la condanna che la Cassazione, con rinvio, ha annullato. Nell’appello “bis” è arrivata nuovamente l’affermazione di colpevolezza che, adesso, la Suprema Corte ha messo in ghiaccio.
I fatti al centro del procedimento sono entrati in un’indagine della guardia di finanza partita dalle segnalazioni delle stesse ex impiegate della società, per cui avrebbero lavorato dal gennaio del 2011 fino al marzo di due anni dopo quando l’attività è stata cessata.
Secondo l’accusa, le tre dipendenti sarebbero state pagate con assegno ma poi avrebbero dovuto restituire in contanti parte del compenso. Così avrebbe imposto la proprietà. Ma avrebbero pure effettuato più ore di lavoro rispetto a quanto stabilito attraverso i loro contratti part-time.