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Del teatro Andromeda e della sua leggenda. “Da piccolo ho sofferto molto”. Lorenzo Reina, il pastore – architetto si racconta: “il mio sogno? Potere andare a scuola”.

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Sul teatro Andromeda -la meraviglia che si staglia a mille metri di altitudine, sospesa fra le vette dei Sikani- è stato detto e scritto di tutto, della magia e dell’incanto, della poesia e dell’arte. Ma una chiacchierata con Lorenzo, il pastore delle stelle, è sempre un privilegio dello spirito. E’ quella ventata di aria buona che si spande dalle larghe falde della paglietta, in quel gioco a nascondersi, tutto suo, quasi a celare la pur tanto ostentata timidezza. Scudo obbligato contro la celebrità che lo ha invaso e un pò devastato, facedolo, paradossalmente, passare da una prigione all’altra. Compare all’improvviso Lorenzo, si fa largo tra la folla della domenica, un popolo di fedeli in pagano pellegrinaggio. L’outfit è tutt’uno con la sua persona, bermuda con camicia di jeans e rigorosamente snikers. L’andatura quella dell’uomo possente che ci ricorda il mito di Sisifo, laddove il valore dell’ostinazione si scopre superiore all’assurdità dell’esistenza. Ma ad Andromeda c’è molto di più. La poesia regna sovrana sull’opera titanica e “laddove la poesia incontra la scienza si genera la perfezione”. Esordisce così Lorenzo, nel lungo colloquio di un afoso pomeriggio di agosto, nell’arsura diffusa dell’entroterra siciliano che sa di Africa e del suo male. Ovunque è un tripudio di voci e colori. Esce alla scoperto Lorenzo, temporaneamente sottratto all’esilio a cui la fama lo ha costretto, combattuto com’è fra il desiderio di donarsi totalmente e il dovere di farsi da parte. Per non togliere la scena alla sua “creatura”. “Io quello che avevo ormai l’ho dato. La mia presenza non è necessaria, il teatro è il protagonista del silenzio, dell’ascesi e della catarsi, individuale e collettiva”. Ascesi ed ascensione sono la cifra prima del percorso iniziatico che, dall’ingresso, conduce in cima al teatro. Dove 108 sedili, le stelle della costellazione di Andromeda, accolgono gli spettatori del mistero e dell’epifania. Lì, dove una volta c’era la “mannira”, ossia l’ovile oggi sorge un teatro. E in quell’alchimia mistica le stelle hanno preso il posto delle pecore. “Qual è il segreto di così tanto successo?”, abbiamo chiesto al regista di questa meraviglia, e la risposta è stata: “la luce e l’infinito. L’apertura del teatro verso l’infinito. Mentre gli altri teatri raccontano la storia, io racconto il futuro. La gente cerca espansione e non chiusura”. Andromeda in terra è l’abbraccio dell’infinito”. E’ l’anelito segreto di Lorenzo che già immagina la sua opera fondersi con le stelle, allorquando la nostra galassia, fra quattro miliardi e mezzo di anni, entrerà in collisione con la galassia M31 della costellazione di Andromeda. Sarà l’abbraccio cosmico, principio e mai fine, che ha ispirato la possente struttura di arte e pietra. Lorenzo è l’autore -inconsapevole- di un’opera imperitura che comunque ha ribaltato un clichè, quello di una Sicilia terra di mafia e malaffare, richiamando l’attenzione dei media di tutto il mondo. “Favola?” “Assolutamente no”, risponde, con aria risoluta, la “pecora nera” dei pastori sikani. E ci raccnta del mito e della storia. Di pascolare il gregge il poeta proprio non ne voleva sapere, non ne era all’altezza. La sua “visione” era quella di un poeta che saliva in cima alla collina e lì a declamare i suoi versi al paesaggio, nella struggente lirica dell’anima. “Possiamo dire che Lorenzo Reina nasce sotto la buona stella…”. “Purtroppo no. Da piccolo ho sofferto molto, del fatto di non potere andare a scuola come i miei coetanei. Costretto, quale unico maschio di quattro figli, ad occuparmi del gregge che impone ritmi pesantissimi. Sono arrivato al punto di immergere i piedi nudi nell’acqua per farmi venire la febbre e andare a casa, in paese. Poi, a vent’anni, mi sono affrancato dalla dipendenza paterna, coninciando a scolpire, con grande senso di colpa per aver disatteso un richiamo. Ho lottato per quello che sembrava un destino già scritto ma solo in parte. Tuttavia, dopo una pausa, dal ’98 al 2010, sono tornato a fare il pastore per onorare la promessa fatta a mio padre, morto proprio nel ’98. Ho riscattato la mia coscienza e rispettato la volontà paterna, pur continuando ad investire sul mio sogno”. Che ad oggi gode di una luce straordinaria, la luce della verità, un’opera che fa registrare ogni anno qualcosa come venticinquemila presenze. E, come ogni buon padre, già Lorenzo sta pensando al testamento, la speranza è quella di potere mettere la struttura sotto la tutela di una fondazione che ne assicuri la continuità rispettando il passaggio generazionale ai due figli, Libero e Cristian, che, a differenza del padre, condividono con lui l’amore viscerale per quelle pietra dal fascino misterioso e indecifrabile, figlia del riscatto come il suo ideatore e costruttore che, preso da un attimo di vanità, ci mostra compiaciuto la poltrona di Aldo Rossi, lasciata in dono da un noto brand, uno dei tanti che hanno girato lo spot ad Andromeda. E, per l’occasione, la collezione è stata battezzata “Andromeda”.

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