Riesi – È stato un ex uomo di Cosa nostra, nella vita prima imprenditore, a spiegare la sua “verità” su un delitto consumato al Nord nove anni addietro.
Il racconto, reso per videoconferenza è stato del riesino Carmelo Arlotta, un tempo uomo di Cosa nostra e che poi ha deciso di voltare pagine raccontando ai magistrati segreti di mafia.
In questo caso legato al delitto dell’albanese Lamaj Astrit i cui resti sono stati murato in una villetta del Milanese. E per anni la sua scomparsa è rimasta un vero e proprio mistero.
In questo processo è tirato in ballo il quarantasettenne riesino, Salvatore Tambè – assistito dagli avvocati Vincenzo Vitello e Adriana Vella – ora chiamato in giudizio dinanzi la corte d’Assise di Monza perché accusato di avere preso parte all’omicidio.
Lamaj sarebbe stato ucciso all’interno di un garage, a Muggiò, dove sarebbe stato attirato in trappola per una ipotetica partita di droga.
E, invece, una volta all’interno lo avrebbero immobilizzato – e di questo, secondo l’accusa, si sarebbe occupato anche lo stesso Tambè – mentre altri lo avrebbero poi strangolato.
A commissionare quel delitto, secondo gli inquirenti sarebbe stata una imbonitrice riesina, Carmela Carmela Sciacchitano, per la fine, mal digerita, della loro relazione sentimentale e, poi, perché lo avrebbe ritenuto l’autore di un colpo grosso in casa sua.
E il collaboratore di giustizia, tra gli altri passaggi delle sue dichiarazioni, ha spiegato «che Tambè è entrato da tempo in Cosa nostra… ne è entrato a fare parte ancora prima di me».
Lo stesso collaborante ha aggiunto che lo stesso imputato «in passato ha subito l’uccisione di due fratelli in agguati di mafia»