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«È punto di riferimento della famiglia mafiosa Rinzivillo», beni per 50 milioni sequestrati dalla Finanza a un imprenditore gelese del settore ittico   

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Gela – Beni per oltre cinquanta milioni di euro sono stati sequestrati dalla guardia di finanza a un imprenditore gelese del settore ittico ritenuto referente della famiglia mafiosa Rinzivillo di Gela.

Destinatario del provvedimento è stato Emanuele Catania, intesto Antonino, che commercializza prodotti ittici anche su scala internazionale.

A lui sono stati sequestrati oltre quaranta 40 immobili, mezzi, conti correnti bancari, quote societarie, pescherecci, una barca da diporto e insiemi aziendali con sedi e ramificazioni operative in sia in Italia che in Marocco.

In realtà molti dei beni e delle società sequestrate sono formalmente riconducibili al fratello,  che non ha mai avuto condanne per mafia.

L’operazione delle fiamme gialle del comando provinciale di Caltanissetta e del reparto operativo aeronavale di Palermo, si è sviluppata tra l’Italia e il Marocco.

Lì, nel Paese Nordafricano, l’imprenditore – che secondo la tesi investigativa avrebbe anche riciclato denaro sporco del clan – aveva espanso la sua attività commerciale.

L’indagine, nella sua globalità, ha interessato quarantacinque tra persone fisiche e giuridiche, ricostruendo « un imponente reticolo societario e familiare». Riflettori puntati, poi, sul profondo squilibrio che sarebbe emerso tra  dichiarati e incremento patrimoniale nell’arco temporale che va dal 1985 al 2022. Ma soprattutto nel periodo tra il 1998 e il 2007.

Il provvedimento è stato emesso dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Caltanissetta, su proposta della direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta.

Il destinatario della misura è stato condannato in via definitiva dalla Cassazione il 10 luglio di due anni fa– dopo che in primo grado era stato assolto e, poi, in appello giudicato colpevole – per associazione mafiosa.  Dopo l’assoluzione nel primo passaggio in aula gli erano stati pure restituiti i beni.

Secondo finanza e magistrati, Catania, sin dai primi anni ’90,  avrebbe fatto di cosa nostra a Gela, legato alla famiglia Rinzivillo, con ai vertici i fratelli Antonio, Crocifisso e Salvatore Rinzivillo.

Diversi collaboratori di giustizia hanno riferito di rapporti tra l’imprenditore e la mafia gelese sin dai primi anni ’80.  In particolare, tra le pieghe dell’operazione «Terra Nuova 2», i collaboratori hanno indicato Catania come uomo di fiducia di Antonio Rinzivillo, che avrebbe investito i soldi con il traffico di droga nelle attività economiche dei fratelli Catania, che avrebbero goduto di “protezione” grazie ai rapporti privilegiati ed economici con il clan Rinzivillo.

E, in tal senso, la corte d’Appello aveva già evidenziato «che il rapporto privilegiato di amicizia tra Catania e i Rinzivillo abbia costituito il presupposto per la creazione e il rafforzamento di un legame di natura molto più profonda».

L’imprenditore è ritenuto punto di riferimento per l’organizzazione mafiosa e, in particolare, per il reggente Salvatore Rinzivillo «offrendo supporto per favorire l’infiltrazione nel tessuto economico legale di attività con le quali riciclare proventi illeciti ed operando anche in condizioni di favore grazie alla “persuasione” mafiosa in grado di alterare le regole della concorrenza di mercato».

Più in dettaglio, per favorire l’infiltrazione mafiosa nell’economia legale. Rinzivillo avrebbe chiesto allo stesso Catania di commerciare nel settore ittico insieme ad altri imprenditori gelesi, di estendere il commercio dal Marocco, laddove lo stesso Catania avrebbe assunto il controllo della «Gastronomia Napoletana», società di diritto marocchino, divenendone socio e amministratore unico,

Settore ittico che, secondo le indagini, sarebbe gestito perlopiù dai mafiosi che imponevano le loro forniture di pesce, così da monopolizzare il mercato.

Complessivamente l’operazione – che ha interessato le province di Caltanissetta, Trapani, Ragusa, Agrigento, Salerno, Pescara e paesi dell’Africa settentrionale – ha impegnato una sessantina di militari del comando provinciale di Caltanissetta, con mezzi della sezione aerea di Palermo e di diverse unità navali.

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