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Festa San Pasquale di Bylon, a Mussomeli il riscatto della fede su maltempo e pandemia

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Mussomeli – San Pasquale di Bylon e il riscatto della fede su maltempo e pandemia. Il sacro ha prevalso è il caso di dirlo. Su tutto e su tutti, travalicando limiti e confini. Proprio perchè è sacro e quindi senza confini. E la comunità dei pastori, decisa e coesa, si stringe attorno al suo Santo. Lo invoca e pretende che, a dispetto di ogni intemperia, si porti a spalla, come tradizione vuole, come fede impone. La Congregazione di S. Pasquale ha ricevuto anche l’elogio di Padre Genco -l’Arciprete- che ieri ha officiato la celebrazione presso la Chiesa dei Monti, per l’impegno profuso in un’attività tanto degna di lode quanto faticosa ed estenuante. Il rito pagano della mungitura preludio al rito sacro della celebrazione. Due mondi distinti solo apparentemente. Due eserciti fusi in uno solo, quello di Dio e quello del lavoro. Sono popolo e divinità al contempo. I pastori il loro gregge, un rapporto inspiegabile, “bisogna averlo nel sangue”, l’araldica sentenza di chi ogni giorno -a prescindere- fa i conti con le esigenze del gregge. I pastori che invocano il loro Santo. Come spesso accade nei momenti difficili della storia e dell’uomo, quando la comunità riscopre la fede che, nel fondo, segretamente ci abita da tempo immemore. E’ l’urgenza dettata dall’assenza. Modello di mansuetudine e di umiltà, il tanto venerato Santo che incarna le attitudini delle candide pecore e devoto alla voce del sommo Pastore che non mancò di istruirlo nella scienza divina e nei segreti della santità. “Oves manus eius”, pecore nelle mani del Signore, ecco … questo sono i Santi. E quella transumanza che diventa lirica sublime nello struggente sentimento di nostalgia di Alcyone. Ma in quel remoto entroterra siciliano, metafora e paradigma di ogni umano e divino miracolo, il tutto assume una connotazione e una colorazione diversa. Lì, in quel remoto sud del Sud dove la coppa di Dioniso si contamina con l’aura trionfale del santo. E’ maggio, piove. Un freddo inatteso, a lungo sofferto, mal sopportato, ma ovunque è comunque un tripudio di voci, colori e suoni, quella pietà popolare fatta di devozione. Un giro il Santo se lo merita, anche mezzo, dopo due anni di reclusione, fosse anche per ricordarsi di quella comunità di fedeli che Lo attende mentre, passando per Piazza Roma, si avvia al veloce rientro in chiesa, lungo la cuticchiata festosa, dimenticato abisso della recente Passione. Perchè laddove sparisce la pandemia, subentra un allerta meteo, quasi ad averci preso gusto alla rinuncia. Al non vivere. Laddove il decalogo impone di sottomettere l’amore al distanziamento, la santificazione alla sanificazione e in cima ad ogni regola -a testimonianza dell’obbedienza suprema- FFP2 correttamente indossata. Pena la scomunica! Ma un sussulto permane quale lascito inestimabile e intangibile, è il rumore del cuore che di regole e di “pandemicamente corretto” davvero non vuol saperne! E il segreto sta tutto lì, in quella terra di nessuno, osannata, villipesa, dimenticata che ancora una volta, sempre lotta con i suoi demoni e i suoi santi. Principio e fine di ogni eterno sentire.

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