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Fino 5 mila euro per entrare da clandestini in Italia, smantellata una rete organizzata: 18 arresti della polizia

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Gela – Pagavano fino a 5 mila euro per il viaggio della speranza. Rischiando la morte su imbarcazioni condotte da scafisti senza scrupoli, legati a una organizzazione criminale transnazionale.

La rete di trafficanti di migranti è stata smantella dalla polizia che ha eseguito 18 arresti di cui 12 in carcere e 6 ai domiciliari. Tutti destinatari di misure cautelari disposte dal gip di Caltanissetta. E 11 di loro sono di nazionalità tunisina e 7 italiana.

A loro carico sono stati ipotizzati i reati di associazione per delinquere finalizzata  favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. E, perdipiù, con una serie di aggravanti. Sì, perché era favoriva l’ingresso illegale in Italia a più di 5 persone; aveva carattere transnazionale perché operava in più stati. Ma non è tutto. Perché è stata pure contestata l’aggravante di aver esposto a serio pericolo di vita i migranti da loro trasportati; di aver sottoposto a trattamento inumano e degradante i migranti e di aver commesso i reati per trarne un profitto. Un ampio ventaglio di contestazioni, quello che ha preso corpo dalle indagini della polizia partire il 21 febbraio di tre anni fa. Quando davanti il porto di Gela una barca in vetroresina di dieci metri, con due motori da 200 cavalli, si è incagliata. A segnalarne la presenza è stato un pescatore. La squadra mobile ha poi scoperto che l’imbarcazione era stata rubata pochi giorni prima a Catania e che lì, dove si era incagliata, erano sbarcate decine d’immigrati, probabilmente di origi nord africane.

Le indagini si sono poi catalizzate su una coppia di origini tunisine che avrebbe favorito l’ingresso irregolare sul territorio italiano prioritariamente di cittadini nord africani. E avrebbero gestito “l’affare” da un’abitazione di Niscemi. Una vecchia masseria dotata anche di un campo volo privato. E il proprietario, un imprenditore agricolo niscemese, è tra coloro che sono stati raggiunti da ordinanza – ed è in carcere- perché ritenuto tra i capi del gruppo. Si sarebbe messo a disposizione della presunta organizzazione criminale anche assumendo fittiziamente alcuni complici stranieri, così da rendere legale il loro ingresso nel territorio italiano e la permanenza.

I successivi approfondimenti investigativi hanno poi smascherato, oltre al niscemese che avrebbe avuto il ruolo di capo, 2 tunisini con base operativa a Scicli che avrebbero avuto il compito di gestire le casse dell’associazione, 5 italiani che avrebbero curato gli aspetti logistici – come l’ospitalità subito dopo lo sbarco sulle coste siciliane ed il trasferimento degli scafisti dalla stazione dei pullman alla base operativa – e, ancora, 4 scafisti – di cui un italiano e 3 tunisini – e 4 tunisini che avrebbero avuto il ruolo di “connection man” con il computo, nelal loro Terra, d’incassare i soldi dei migranti che volevano tentare l’avventura in Europa.

La rete organizzata avrebbe contato più punti nevralgici tra Scicli, Catania e Mazara del Vallo e avrebbero coperto le tratte utilizzando piccole imbarcazioni, con potenti motori fuoribordo, condotte da esperti scafisti che avrebbero coperto tra tratta marina tra le città tunisine di Al Haouaria, Dar Allouche e Korba e le province di Caltanissetta, Trapani e Agrigento. In tal modo, in sole quattro ore avrebbero raggiunto le coste italiane.

I quattrini raccolti in Tunisia – e la polizia ha stimato che ogni viaggio avrebbe fruttato all’organizzazione tra    i 30 mila e i 70 mila euro – sarebbero stati inviati in Italia, a Scicli in particolare, tramite note agenzie internazionali, specializzate in servizi per il trasferimento di denaro. Poi i soldi sarebbero stati versati su carte prepagate che tenevano i capi dell’organizzazione. Quel denaro sarebbe stato reinvestito per aumentare i profitti dell’associazione, acquistando, ad esempio, nuove imbarcazioni da utilizzare per le traversate.

Durante le indagini sono stati ricostruiti più viaggi organizzati dalla Tunisia alle coste italiane. Il 26 luglio 2020, un’imbarcazione sarebbe partita dal porto di Licata verso le coste tunisine per prelevare immigrati da fare entrare clandestinamente in Italia. Solo l’avaria di entrambi i motori non ha permesso la conclusione del viaggio. Quell’imbarcazione è rimasta alla deriva “mare aperto”, da qui il nome dell’odierna operazione.

Uno dei destinatari della misura cautelare in carcere è stato trovato a Ferrara dalla polizia, un altro era già in carcere per reati analoghi, uno di origini tunisine, scarcerato da pochi giorni, era trattenuto al Cpr di «Ponte Galeria» Roma, in attesa di essere rimpatriato e tutti gli altri sono stati scovati tra Caltanissetta, 8 in particolare, e uno a Ragusa.

Dei  diciotto per i quali è stato ordinato l’arresto, dodici sono stati presi, altri sei sono irreperibili, perché probabilmente si trovano all’estero

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