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“Gelo”, il Giallo Mondadori di Roberto Mistretta, presentato venerdì 28 febbraio presso la sede della Pro Loco a Mussomeli

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Mussomeli – Un giallo che ha tutto il brivido di casa propria! E, da casa propria, è partito, lo scorso venerdì 28 febbraio, lo scrittore mussomelese Roberto Mistretta, per la presentazione di “Gelo”, il duplice romanzo a tinte fosche, edito da Mondadori, nella collana “Big”, per la prefazione dell’ex magistrato, nonchè scrittore e sceneggiatore pugliese, Giancarlo De Cataldo. Per ogni nuovo libro che nasce, c’è sempre una tradizione che si ripete e che assume quasi il sapore della ritualità, la presentazione a casa che, nel caso di specie, non è solo il luogo degli affetti, ma anche il set letterario del racconto stesso. Di cui, in qualche modo, tutti i presenti, si sono sentiti quasi dei comprimari della scena. Bramosi di andarsi a leggere e rileggere in quelle pagine che già si prospettano tutto un intrico… “Una proposta alla quale -capite bene- non si poteve dire di no!”, ha sottolineato, non senza una punta di orgoglio, lo stesso Mistretta, durante la conviviale tenutasi, con grande partecipazione di pubblico, presso la sede della Pro Loco. “Proposta” che, nella fattispecie, arriva direttamente dal direttore Mondadori, lo storico gruppo che ha sede a Segrate in un edificio progettato nientemeno che dall’architetto brasiliano Oscar Niemeyer, ovverosia, “essere il primo italiano a venire pubblicato sulla neonata collana “Big” che, da un anno, raccoglie e pubblica solo romanzi corposissimi. Insomma, niente roba per dilettanti! Così il giallista conclamato di Manfreda e Villabosco -le sue due Mussomeli letterarie- e vincitore del Premio Tedeschi 2019, ha accorpato ben due libri in uno solo. “Gelo”, la dilogia noir che si compone di “Io sono Gelo” e “Rivoli di sangue tra le dita”. Dopo i saluti istituzionali, hanno dialogato con l’autore, Cinzia Frangiamore, socia Pro Loco, associazione che ha organizzato e promosso l’incontro, patrocinato peraltro dal comune di Mussomeli, e il giornalista Giuseppe Taibi. Un viaggio nelle viscere di quella “Manfreda” già “Villabosco” del maresciallo Bonanno, che indaga la “doppia vita del commissario Gelo Duncan” narrata in 1milione e 100mila battute che non lasciano scampo al lettore. Gelo è il personaggio “che, nella mia mente, nasce innanzitutto come una sfida a me stesso”, scrive l’autore nell’introduzione. Da un punto di vista letterario, sarebbe la naturale evoluzione di Bonanno, in scala mitteleuropea. Perchè, se Bonanno è più legato al territorio, quasi necessariamente “uno di noi”, Gelo ha tutte le carte in regola per potere essere apprezzato in Sicilia come ad Elsinki. Il segreto? Essere riuscito a sfuggire allo stereotipo e al pittoresco. Operazione non sempre facilè nè tantomeno scontata quando un certo folclore ha imperniato di sè tutta una letteratura di genere per cui virare verso una direzione di più ampio respiro impone inevitabilmente uno scatto di reni e una certa presa di coraggio. Ma l’evoluzione, ovviamente, sta anche in questo! Non per niente, infatti, Gelo Dunkan nasce in Sicilia sì, ma da madre siciliana e padre americano. “Uno sbirro di frontiera” -volendo riportare le parole dell’autore della prefazione- vittima di una penna senza veli, “che sa bene che le regole, specie quelle stupide, a volte assurde, della burocrazia sono lì apposta per essere violate”. Gelo all’anagrafe nasce come Angelo, un nome che è già una dichiarazione ante litteram di se stesso che, però, si consiglia, di non prendere troppo alla lettera. Del resto nei thriller come nella terra degli enigmi -questo si sa- niente è mai come appare! Anche se, in quello che cronologicamente si colloca come l’ultimo suo giallo, l’autore, da qualche anno in quiescenza e coi capelli bianchi da tanto tempo, ha voluto sovvertire le regole del genere, dando vita a un noir in cui l’epilogo fosse già chiaro sin dalle prime righe. Per il resto, la suspence è tutta conentrata in cinquecentoventi pagine dal carattere piccolo, che fanno capo ad un immaginario commissariato del centro storico locale che assume le fattezze e le sembianze di Palazzo La Rizza, dove si snodano le avventure di Gelo, sintesi e contrazione di Angelo, metafora di se stesso che rinasce dalla sua stessa morte e in mezzo ai “viventi morti” per fare fede a quel suo essere “cavaliere senza macchia e senza peccato”, dopo avere attraversato gli Inferi e avere patito in prima persona l’essere “più che una preda del Male, vittima” stessa “del Maligno”. Ma la cifra ultima del romanzo sta tutta in quel messaggio di “curiosa fede nella speranza” di cui “Mastino” Duncan -come lo appellano i giornalisti- fa dono al lettore mentre, a vele spiegate e con ali piegate, combatte gli indovinelli ermetici di Budello Insanguinato. Avventure e rompicapo di cui le letture di due socie della Pro Loco, in sede di presentazione, hanno dato un breve ma significativo accenno. E se, come ci è accaduto più volte di sottolineare, al romanzo poliziesco, negli ultimi anni, è stato derogato il compito dell’indagine che, invero, dovrebbe essere di più stretta pertinenza giornalistica, questo “accanimento” dell’autore per la figura dei giornalisti che non accenna minimamente a celarsi, nemmeno sotto mentite spoglie, – ci chiediamo, domanda che ci domandiamo… – “non sarà mai una redenzione di se stesso, alla stregua del suo personaggio…? Magari lo scopriremo al terzo “Gelo”… !

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