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Giallo su “prove inquinate”, la madre di un ragazzino accusato d’istigazione al suicidio presenta una denuncia

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Caltanissetta – S’è rivolta alla magistratura ipotizzando che la conservazione dei reperti, in questo caso di tipo informatico, sia stata irregolare. La catena di conservazione sarebbe stata violata. Una sorta d’inquinamento delle prove.

Per questa ragione la madre del diciassettenne nisseno – difeso dagli avvocati Calogero Buscarino e Gaetano Giunta –  sotto processo per istigazione al suicidio, ha presentato una denuncia ai magistrati di Caltanissetta.

Il ragazzino è attualmente sotto processo sull’onda della morte del ventiseienne, anch’egli nisseno,  Mirko Antonio La Mendola – i familiari sono assistiti dall’avvocato Rosario Didato – che si è tolto la vita con un colpo di pistola una sera d‘estate dell’anno scorso. Era il 25 agosto del 2021.

L’estremo gesto, secondo la tesi investigativa, sarebbe legato a una cocente delusione dopo l’esclusione da un concorso in polizia.

Tra le pieghe dell’atto emergerebbe che il telefonino del figlio, ora sotto accusa, sia stato accesso prima di essere affidato all’esperto incaricato dalla procura minorile di Palermo per il travaso completo dei dati contenuti in un hard disk.

Tant’è che nel cellulare del ragazzino – come verrebbe fuori tra le pieghe della stessa denuncia – è stata trovata una immagine che fa riferimento a un procedimento penale che si sta ancora celebrando dinanzi il tribunale di Gela. Aspetto, questo, che sembrerebbe infittire questa sorta di giallo.

Aspetto, questo, che è stato rimarcato in aula da un esperto informatico incaricato dalla difesa, mentre un medico legale – sempre consulente di parte – ha asserito che le ferite all’avambraccio destro della vittima sarebbero state provocate dalle tacche di mira, come se con la mano destra avesse voluto proteggere l’arma da qualcuno che avrebbe voluto portarla via. Questo, almeno, secondo il consulente di difesa, emergerebbe con probabilità ricostruttiva dagli elementi analizzati.

Alla prossima udienza sarà il perito incaricato dal tribunale a chiarire il passaggio ombroso che sembra aleggiare sulla vicenda, ossia se il telefonino del ragazzo sia stato effettivamente acceso ancora prima di riversare ufficialmente di tutti i dati contenuti.

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