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Inaugurazione della tripersonale “Il velo di Maya” a Vigevano, c’è anche l’artista mussomelese Gero Canalella

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Vigevano – Si è inaugurata sabato 19 ottobre, presso le Sale della Leonardiana di Vigevano, la tripersonale “Il velo di Maya” dei tre artisti Lorenzo Lucatelli, Veronica Menchise e Gero Canalella. L’evento, organizzato e promosso da EvuzArt, è stato curato da Chiara Amato e si inserisce, come evento collaterale, all’interno della rassegna letteraria della città di Vigevano il cui tema, per l’edizione di quest’anno, è la “maschera”. In ricordo della celebre attrice Eleonora Duse. Un tema dall’attualità dirompente, che all’indomani del Covid e al tempo della generazione 4.0, ci consegna una realtà in cui per (soprav)vivere è sempre più necessario morire. Nell’abbandonarsi alla seduzione di quel “centomila” di pirandelliana memoria che avrebbe dato un gran bel da fare al Nobel di Akràgas. Mentre, ad ispirare il percorso espositivo dei tre talentuosi artisti, è stato “Il Velo di Maya” del filosofo tedesco Arthur Schopenhauer. Un velo, appunto, che non nasconde del tutto la realtà delle cose, ma la cela, quasi a volerla edulcorare. Allontanando, sempre più, il soggetto dalla conoscenza. In che modo, allora, è possibile strappare il velo dell’antica Pleiade? Con le tre vie, di cui una, è proprio l’arte! Solo, attraverso le tre vie della redenzione, si può conoscere il mondo che, diversamente, rimane, rinchiuso in quella “volontà di rappresentazione” che sta alla base della filosofia del filosofo stesso. E l’artista -da vate qual è!- opera un vero e proprio squarcio sulla sottile e ingannevole trama del velo, in un gioco fatto tutto di rimandi fra il nascondere e il mostrare. Sul quale si apre un mondo. Di spunti e riflessioni. Nello specifico, Gero Canalella, attraverso la sperimentazione semantica del suo percorso artistico, ha svelato il volto di una realtà primigenia, arcaica e ancestrale, in cui l’uomo si identificava col cosmo e con il suo spazio abitativo. Una condizione ormai logora, smarrita nel tempo, di cui l’artista riesce a ristabilirne le coordinate, ad afferrarne l’eco. In siffatto contesto, le sculture di Gero Canalella, sono corpi in formazione, in bilico fra spiritualità e caducità, tra inquietudine e rassicurazione. Corpi forgiati da una materia che, per l’artista, ha un significato carico di informazioni. “Quasi una ierofania”, riferisce lo stesso Gero Canalella, citando Mercea Eliade, perchè la terra da cui le sculture prendono vita e linfa è la terra di Mussomeli, quindi del suo paese natìo. E “un paese ci vuole”, questo lo sappiamo anche noi, per dare forma a partire da un significato. Un traguardo questo che, per certi versi, ha rappresentato una tappa, all’interno del percorso dell’artista che, dopo la collettiva “Abracadabra”, conclusasi il 6 ottobre scorso, si prepara per “The Others”, un evento fieristico di livello a Torino dove sarà presente, grazie ad una galleria fiorentina, con un altro importante lavoro dal titolo “Cielo basso”. A fare bella mostra di sè, all’interno de “Il Velo di Maya” anche un Pinocchio, tema che, sappiamo essere molto caro all’autore e che, in questo caso, rappresenta quasi una retrospettiva. “Un ponte” si potrebbe dire tra la prima parte del suo lavoro -in cui la presenza di figure dal naso allungato allude sia allo spirito creativo della bugia nel bambino che alla simbologia fallica sottesa- e il lavoro successivo dell’artista che si incentra sulla costruzione di forme autonome di ispirazione organica. La mostra sarà visitabile fino al 3 novembre prossimo.

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