Campofranco – È stato un ergastolano a sconfessare le insinuazioni che un pentito aveva mosso nei confronti del boss di Campofranco. Così al processo per un delitto consumato qualcosa come trentacinque anni fa.
E alla sbarra sono poi finiti il boss di Vallelunga, Giuseppe «Piddu» Madonia e il presunto capo della “famiglia” di Campofranco, Domenico «Mimì» Vaccaro – assistiti dagli avvocati Antonio Impellizzeri e Flavio Sinatra – chiamati al cospetto della corte d’Assise di Caltanissetta.
Sono stati tirati in ballo per il delitto del niscemese Vincenzo Vacirca assassinato nel novembre del lontano 1983 da un paio di killer.
E tra loro, tra gli esecutori materiali, secondo la tesi accusatoria, vi sarebbe stato anche «Mimì» Vaccaro. Mentre Madonia, sempre secondo l’accusa, sarebbe stata la regia di quella missione di morte.
A puntare in qualche modo l’indice contro Vaccaro sarebbe stato, in precedenza, il collaborante niscemese, Angelo Pitrolo.
Lui che avrebbe sostenuto di avere saputo Salvatore Calcagno, anch’egli niscemese, che a fare fuoco contro Vacirca sarebbe stato Vaccaro.
Circostanza che Calcagno ha seccamente smentito, così da mettere fortemente in discussione il racconto reso dal collaboratore di giustizia.
La vittima, in realtà, non sarebbe stato il vero obiettivo della mafia. Ma, piuttosto, il fratello, Giuseppe Vacirca, che a qual tempo era introvabile sia per le forze dell’ordine ma anche per la mafia stesso. Solo sette anni dopo quella vendetta si sarebbe completata anche con la sua uccisione.
Una mattanza – secondo l’impianto accusatorio – che avrebbe rappresentato una risposta all’uccissione di Salvatore Arcerito, indicato come a capo della famiglia mafiosa di Niscemi, caduto in una imboscata il 30 aprile del 1983.