PREMESSA. C’è un dedalo di luoghi, mode e persone che hanno forgiato coloro i quali hanno vissuto gli anni settanta, ottanta e novanta a Mussomeli e nel Vallone. Pietre miliari che hanno delimitato tempi, spazi e modalità della movida, dei momenti ludici e ricreativi, delle tendenze di intere generazioni. Ritrovi, passatempi, locali, personalità e abitudini che oggi non ci sono più ma che hanno rappresentato modi di essere, esprimersi, socializzare, decisivi per la formazione e la crescita dei singoli individui e della collettività. Desideriamo preservare dall’oblio questi mondi, ormai sommersi dalla furia del tempo, perché se è vero che indietro non si torna, questo non significa che le immagini del nostro recente passato, ogni giorno che passa sempre più sbiadite, non possano essere allegate e preservate nell’album dei ricordi della nostra comunità.
MUSSOMELI – L’INTUIZIONE. Se oggi la densità di pizzerie a Mussomeli compete con quella di Via dei Tribunali a Napoli, lo si deve a un precursore geniale e coraggioso che poco più di quaranta anni addietro, ha scommesso, vincendo, sulla possibilità di lavorare nella capitale del Vallone con impasti, lieviti, pomodoro e mozzarella. Una intuizione brillante la cui paternità è del signor Vincenzo Sorce, conosciuto da tutti come “U Zi Viciu Neglia” e, in effetti, la nebbia sarà un elemento costante della sua esistenza: nel pane, nella pizza, nell’inseparabile sigaretta; c’è sempre stato, infatti, un oggetto fumante nella vita del pioneristico pizzaiolo! E’ il 1976 quando l’uomo apre “La Zingarella”, in quel tempo, prima e unica pizzeria di Mussomeli a cui sono legati piacevoli ricordi dei tantissimi palati che hanno avuto modo di apprezzare le prelibatezze di questo tempio del ristoro, attivo fino alla fine degli anni novanta.
LA FAMIGLIA. Classe 1929, il signor Vincenzo Sorce, cresce a Polizzello, dedicandosi alla cura dei possedimenti di famiglia e alla attività di pastorizia. D’indole generosa, affabile e intraprendente, poco più che ventenne, apre con il fratello un’officina in via Caltanissetta. Il giovane capisce ben presto che la sua vocazione però è un’altra, all’olio motore preferisce quello da cucina. Nel 1956 sposa l’amata signora Maria Amico che, per tutta la vita, gli sarà accanto come moglie, collega e socia. Dalla loro unione nel 1959 nasce Angela, sei anni più tardi arriva Giuseppe.
IL PANIFICIO. Sul finire degli anni cinquanta in via Barcellona la coppia inaugura un panificio che, in brevissimo tempo, diventa avviatissimo. Nella veste di panificatore impara tutto su impasti, grani e farine, rigorosamente di agricoltori e mulini del luogo. Vuole conoscere origine e provenienza, pretende la tracciabilità quando ancora non si sapeva cosa fosse. Impara a governare in modo magistrale il forno a legna ed è padrone delle tecniche di cottura.
LA PIZZERIA. Nel 1975 insieme agli impasti del forno, lievita l’idea di lasciare il certo per l’incerto, di inseguire il sogno: aprire una pizzeria. Fiuta opportunità grandi come i pascoli in cui ha trascorso l’adolescenza e le sconfinate praterie che allora circondano l’isolata casa in via Sardegna dove intende aprire l’esercizio commerciale. Un anno dopo quella fantasia diventa realtà: il signor Sorce e Mussomeli hanno la loro prima pizzeria. Il successo arriva immediatamente. I clienti diventano una sorta di famiglia allargata che si raccoglie attorno al focolare del forno a legna.
I SEGRETI DELLA RICETTA. Quando chiedo al figlio il segreto di un sapore che, a distanza di decenni, i clienti definiscono indimenticabile, irripetibile e inimitabile, Giuseppe rivela: “Abbiamo sempre utilizzato prodotti di prima scelta e, laddove possibile, del luogo. Papà proveniva da una famiglia di pastori e conosceva bene i frutti della propria terra. Gran parte della salsa veniva prodotta in casa con pomodori nostrani. Io andavo a raccogliere l’origano. Per la mozzarella, fino a quando rimase in attività, ci fornivamo in un caseificio in contrada Mappa, il formaggio arrivava dalle aziende dei miei zii. L’impasto era ottenuto da farine di grani antichi e del luogo, selezionati e lavorati, con la maestria acquisita negli anni del panificio “. Il signor Vincenzo, insomma, è un antesignano della filiera corta, dei prodotti bio e a chilometro zero. Ancora non esiste lista degli allergeni e i prodotti senza glutine sono sconosciuti, eppure nessuno accusa malesseri. “Per un paio di anni – racconta ancora Giuseppe – viene affiancato da u ‘Zi Micheli, un pizzaiolo nisseno. Non sono riuscito a rintracciarlo, darei qualsiasi cosa per avere sue notizie”.
LA CLIENTELA. All’inizio la pizzeria è frequentata solo da famiglie e da una clientela piuttosto matura. Dagli anni ottanta il rito della pizza si estende ai più giovani, iniziano a venire anche le prime ragazze, in coppia e scortate dai fidanzati. Con gli anni novanta la pizzata ormai è un cult collettivo che coinvolge clienti e comitive di ogni età e sesso. Tutto rispecchia la filosofia dei proprietari: semplicità, genuinità e generosità. Nel menu ci sono le pizze essenziali, si utilizzano ingredienti freschi, sono banditi i prodotti surgelati, tutto è servito in porzioni abbondanti. Questa formula decreta il successo de “La Zingarella” anche come ristorante con cucina casereccia. Diventa un riferimento per bancari, impiegati, e chiunque ha necessità o desiderio di mangiare pietanze semplici come se fosse a casa. “Di settimana a pranzo – ricorda divertito Giuseppe – c’erano più medici nel locale che in ospedale, i luminari della medicina che hanno reso grande il nosocomio mussomelese adoravano pranzare qui. Tra i clienti abituali figuravano i dottori Viola, Raso, Burrafata e Morgante“. Paolo Piparo è stato uno degli afecionados più convinti: “Praticamente dall’inizio degli anni ottanta – confessa il pilota – il sabato sera, dopo essere stato al bar Kennedy, era legge che cenassi in questa pizzeria dove ho anche festeggiato la Prima Comunione. Dopo aver preparato le pizze, u zi Viciu si sedeva sempre con i clienti, era scherzoso, altruista, bravissimo ad affibbiare nomignoli. Ha battezzato tante persone, a chi ha appioppato un soprannome gli è rimasto. Se siamo quello che mangiamo, orgogliosamente posso dire che io sono fatto in grande misura delle buonissime pizze sfornate alla Zingarella”.
IL CONTO. Ma è sul conto finale che il signor Sorce dava il meglio di sé, tanto che pagare non era una nota dolente ma uno spettacolo. Quando gli avventori chiedevano quanto dovessero per il pasto, u zi Viciu, aggrottava la fronte, lo sguardo rivolto nel vuoto diventava meditabondo, borbottava incomprensibili formule matematiche e simulava l’esecuzione di complicatissime operazioni che lambivano la meccanica quantistica e accurati calcoli con l’ausilio delle dita che fungevano da pallottoliere. Il responso finale era preceduto da una frase rituale che pressappoco recitava: “Un per zero uguale zero e porto uno”, poi si concedeva ancora qualche attimo di suspence, come se volesse ricontrollare l’esattezza delle operazioni matematiche, e infine arrivava il verdetto. Uguale, implacabile, immutabile. “Picciù, amunì, decimila liri l’unu” (con la variante di valuta dove i camozzi sostituivano la lira). Tutti sapevano che il conto era forfettario in cambio di “all you can eat”, un prezzo fisso peraltro onestissimo e meritato per qualità e quantità del cibo. Tuttavia nessuno voleva e poteva sottrarsi a quel monologo che concludeva in modo spassoso l’esperienza gastronomica in pizzeria. Una sorta di dessert teatrale magistralmente interpretato dal signor Vincenzo.
LA CHIUSURA, GLI ULTIMI ANNI E LA SCOMPARSA. Dopo aver sfamato diverse generazioni e migliaia di bocche, formato e ispirato diversi pizzaioli alcuni dei quali ancora in attività, esattamente venti anni fa nel 1999 i coniugi Sorce decidono di chiudere i battenti. Determinante è stato il venir meno dell’aiuto di Giuseppe che nel frattempo intraprende una nuova professione, dal 1992 inizia a lavorare nei vigili del fuoco. Per un curioso caso, nell’attività di famiglia appiccava e alimentava il fuoco nel forno a legna, ora in divisa, solitamente, è impegnato a soffocare e spegnere le fiamme. Negli anni della pensione il signor Vincenzo torna alle origini, alla campagna nell’appezzamento di contrada Germana ed è a tempo pieno un marito, un padre e un nonno premuroso, circondato dall’affetto degli ex clienti che non hanno smesso di essergli amici . Il 22 agosto 2008 colui che ha sdoganato la pizza a Mussomeli, condiviso il desco con il paese, confortato e ristorato i suoi concittadini lascia questo mondo. Viene meno un pezzo e un trancio della storia del paese, è un giorno tristissimo per Mussomeli, il cuore è “una Zingarella e va”.
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