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Pensionamento per la Sorvintendente di Polizia Maria Antonietta Antinoro, testimone del periodo caldo anno ’80 a Palermo

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Mussomeli – A ventitrè anni, è stata la prima donna del piccolo centro manfredonico, a rompere le file di un sistema -ancorchè di uno schema- che volgeva ancora tutto al maschile, in quell’ormai lontano 1987. Maria Antonietta Antinoro, poliziotta mussomelese, classe 1964, va in quiescenza dopo 37 anni di onorato servizio nella Polizia di Stato. Con la consapevolezza che, a fronte di quello che consegni, il resto ti rimane incollato addosso per la vita. Una divisa non te la togli mai. Neanche quando arriva il momento della pensione. “Il lavoro mi mancherà, non lo nego”, riferisce l’agente di Polizia nata, professionalmente, dentro il 109° corso di formazione a Foggia. E, da qui, poi destinata alla Questura del capologuogo siciliano, negli anni più bui e più turbolenti che la storia, non solo siciliana, abbia mai scritto. “Quando sento parlare di eroi, come Falcone e Borsellino, di stragi”, racconta con un pizzico di malinconia e nostalgia, l’ex agente Antinoro, “mi assale il ricordo di quello che, per me e per tanti altri colleghi di quello che, fino al 1981, è stato il Corpo delle Guardie di pubblica sicurezza, era il pane quotidiano con cui fare i conti ogni giorno”. Conti che non sempre tornavano e, di fatto, tante volte non sono tornati. Se non a sfavore dei più e dei più onesti. In una lotta continua, e forse infinita, fra bene e male. “La Polizia è stato il primo organo delle forze dell’ordine a consentire il reclutamento delle donne al suo interno, capofila di unn’innovazione che poi, a ruota, gli altri organi hanno seguito”. Un mese, novembre, che torna e ritorna nella vita e nella professione della poliziotta, come un cerchio che si chiude. Il compleanno, l’arruolamento e il meritato riposo. “La formazione è stata un addestramento militare a tutti gli effetti, con le ore di lezione tra un alzabandiera e un ammainabandiera. E le prove pratiche di tecnica operativa e addestramento al tiro”. Un percorso propedeutico a quella che, in seguito, è stata una full immersion nella lotta a “cosa nostra” durante il periodo delle stragi a Palermo. Da Capaci a via D’Amelio, le forze erano tutte concentrate in quella che allora fu la spietata capitale della malavita organizzata, in mano a killer come Totò Riina”. Da qui poi, il maxiprocesso che ha richiesto un dispiegamento di forze esorbitante. “In quegli anni non c’era posto della città che non fosse presidiato, il ricordo di un luogo quasi sotto assedio è ancora vivo in quelli della generazione del secolo scorso. Al tempo in cui il poliziotto di quartiere era ancora un membro della pattuglia appiedata. Ricordo i servizi in corsia nei reparti speciali che ci hanno messo faccia a faccia con detenuti cosiddetti speciali, del calibro dei fratelli Madonia, di Vernengo, noto nell’ambiente come il re delle bionde, per via di un traffico internazionale di sigarette, Badalamenti, l’autore materiale dell’omicidio del generale Dalla Chiesa. I pezzi grossi della malavita organizzata in Sicilia”. Fra i ricordi il servizio al cimitero dei Rotoli dopo la strage di Capaci laddove si temevano perfino ritorsioni sulle salme”. Dal commissariato di via Roma poi, il trasferimento in Questura dove, fra le varie tappe del cursus honorem, si è consumata l’esperienza a Palermo. Fra gli altri, anche un incarico alla Divisione anticrimine. Poi, a luglio del ’92, superata l’euforia dei primi anni, è arrivato il trasferimento ad Agrigento. Un altro percorso lungo ben trentadue anni, con altre esigenze ma stessa gavetta. Prima all’Ufficio di Gabinetto e, infine, alla Divisione P.A.S.I., dove si è occupata di porto d’armi e passaporti. E, a proposito di donne con la divisa, riferisce, con una punta di ironia, “a Palermo eravamo viste come delle mosche bianche, una volta una signora peraltro molto distinta, mi chiese di potermi toccare per vedere se ero vera. E la risposta fu ‘finalmente la donna inizia ad avere un posto nella società'”. A dispetto di un certo cameratismo di genere che si è dovuto arrendere alla realtà dei fatti. Prima ancora del previsto. “La donna graduata si è presto fatta spazio a 360°, poi tutto dipende dalla voglia di lavorare e dal modo di porsi. Per me, il rispetto per l’essere umano sopra ogni cosa”. E di essere umani anche non proprio in grazia di Dio ne saranno passati dalle mani e dalle manette in quasi quarant’anni di carriera. Anche se il motto rimane sempre “poliziotto per la gente e con la gente, curando i rapporti con l’utenza”. Maria Antonietta Antinoro ad oggi sa di avere incarnato e realizzato un sogno, per sè e per altre ragazze che a lei si sono ispirate, cedendo a quel fascino della divisa che sin da piccola aveva inseguito. “Grazie principalmente a dei genitori lungimiranti e all’avanguardia che hanno incoraggiato la figlia, nell’era del benessere, ad intraprendere un direzione sicuramente non esente da rischi e pericoli. Ma il rischio è valso la pena. E l’agente Antinoro si è congedata dal servizio ma non dall’affetto dei colleghi e della gente comune con cui si è rapportata nell’arco della sua vita lavorativa.

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