Gela – Non ci sta alla confisca di beni e si appella rincorrendo la possibile restituzione. Così per un “tesoro” di una quindicina di milioni di euro che nell’estate dello scorso anno è stato sequestrato. In particolare undici società e due ditte individuali a Gela, Roma, Milano, Brescia, Verona, Bergamo e Torino.
A subirlo è stato un professionista gelese, il trentatreenne Rosario Marchese – ritenuto dagli inquirenti in odor di mafia – finito al centro d’indagini legati a presunte truffe all’erario.
Quelle legate alle cosiddette false compensazioni fiscali. Secondo il teorema degli inquirenti il sistema sarebbe stato tutto sommato lineare, ma particolarmente lucroso.
Sì, perché tutto si sarebbe incentrato su investimenti, per l’accusa in realtà fantasma, in aree svantaggiate. E molte aziende del nord Italia, con questo sistema, avrebbero smagrito i loro conti così da godere di sgravi fiscali di cui, in realtà, non avrebbero avuto diritto.
Dietro tutto questo impianto, secondo la tesi dei magistrati, vi sarebbe stato l’investimento di capitali sporchi legati ad affari illeciti delle cosche. Del clan Rinzivillo in particolare. Questo avrebbe consentito a Marchese – è la tesi accusatoria – di accumulare un patrimonio più che sospetto. Perché sarebbe stato ben oltre le risorse reddituali dello stesso professionista.
La richiesta di cancellare la misura patrimoniale confermata dal tribunale passerà, adesso, al vaglio della corte d’Appello.