Mussomeli – Quella dipendente di Mussomeli non dovevano licenziarla. Almeno in quel modo e in quei termini. Né lei, né altri due suoi colleghi che lavoravano per la stessa società che opera nel comparto commercio e distribuzione di prodotti petroliferi. E che adesso è stata condannata a pagare.
È quanto ha stabilito il giudice del lavoro con una sentenza destinata a creare “il precedente”. A tracciare la strada per nuovi pronunciamenti accogliendo la tesi dell’avvocato Giuseppe Alessandro Lo Giudice, le cui motivazioni del ricorso, presentato nel 2022, due anni dopo sono state sancite dalla Cassazione
Sì perché la società per cui lavorava la giovane di Mussomeli e altri due suoi colleghi, una trentenne e una cinquantenne di Agrigento, prima del licenziamento per giustificato motivo oggettivo – perché quel settore in cui erano impiegati era stato esternalizzato – avrebbe dovuto prima verificare se fosse stato possibile reimpiegarli in mansioni inferiori o se poterli collocare in una delle società satellite dello stesso gruppo. Il cosiddetto obbligo di Repechage.
Due aspetti , quello delle mansioni e delle ricollocazioni, di cui la società petrolifera non avrebbe tenuto conto.
Così il giudice del lavoro di Agrigento ha condannato la società al pagamento di un’indennità, non subordinata a contributi previdenziali, di importo pari rispettivamente a dieci mensilità e sei mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, oltre al pagamento delle spese legali in favore di tre lavoratori.
«Il Tribunale – ha rilevato il legale dei tre licenziati – inoltre ha ritenuto che l’obbligo nel caso di gruppo societario, come nel caso specifico, si estenda a tutte le società del gruppo generando così un effetto di maggior tutela per i lavoratori».