Mussomeli – E’ stata data alle stampe l’ultima creazione letteraria del dottore Mario Ricotta. “Racconti Imperfetti – Imperfect Tales”, opera di narrativa bilingue, in italiano e in inglese, di Mario Ricotta, con la prefazione di Cosimo Damiano Damato, per Aletti Editore. Traduzione a cura di Noemi Ciceroni in collaborazione con l’Istituto di Alti Studi Linguistici Carlo Bo. Iniziata nel 1979, con la pubblicazione di un testo per teatro, “La Risposta ovvero Venite a vedere il Messia”, la produzione artistica di Mario Ricotta, mussomelese, psichiatra con la passione per la scrittura e il teatro, non ha mai accennato minimamente ad arrestarsi, salvo qualche pausa dopo il capolavoro “Dio peccatore” del 2011, per via degli “impegni professionali” -come medico di base (ndr)- e di famiglia che lo hanno ridotto a un silenzio di riflessione, lontano dai clamori del mondo, della politica e della società”, come si legge nelle “Note autobiografiche” dello stesso volume. Un impegno quasi totalizzante a cui si è dedicato “anima e corpo”, nella cura dei pazienti, e che lo ha portato, suo malgrado, a trascurare quella passione rimasta per un poco in fondo al cassetto. Ma dal cassetto, è solo questione di tempo, prima o poi si riemerge, quando il bisogno esce prepotente e, prepotentemente si impone, all’autore e al mondo. E intanto, dentro lo spazio angusto di una scrivania condivisa, prendevano forma e corpo, quelle storie che adesso hanno anche voce e un nome, anzi due… quei “Racconti Imperfetti” laddove il predicato aggiunge un non senso, al senso di quella vita (im)perfetta -appunto!- nella sua perfezione di natura. Dodici racconti -un bagno di salute per l’anima malata di se stessa- che prendono origine da un surreale “qui pro quo”… “il ritrovamento a casa dei nonni o degli zii!”, come l’autore stesso riporta nel primo capitolo del volume, dando al lettore la cifra tutta di quell’imperfezione ante litteram che è la connotazione prima e ultima di ogni esistenza ed umano sentire. “L’armadio fradicio divorato dal tarlo” a custodire un messaggio, prima di essere bruciato assieme agli altri rottami. Accadimenti, nell’inciampo di una vita, messi lì, quasi a guardia, e sentinella di un vissuto che quello deve essere, e non altrimenti! Da stanare e tramandare. Chè non sia mai che la memoria si perda! Memoria sacra, di un rito ancor più sacro, sacrilego e onnipotente. I “Racconti Imperfetti” di Mario Ricotta rappresentano l’abbraccio, a lungo negato, ancorchè la mano tesa, ai diversi, ai meno fortunati -che poi chi saranno mai i fortunati!- agli ultimi, nel tempo in cui l’era 4.0 e la smania del consenso social -lungi da quello sociale che è ben altra cosa!- altro effetto non producono se non quello di edulcorare una realtà. Una realtà che, in fondo, sa di amaro e contraddizione… E proprio a quel fondo, non di rado enigmatico e buio, Mario Ricotta attinge come nettare per miele, a materia dei suoi scritti, un fondo che non divide ma unisce, perchè accomuna. E’ lo squarcio sul velo di Maya che non distrugge ma costruisce, perchè è atto di consapevolezza. E’ catartico perchè guarisce, dalle ferite dell’ignoranza, dalle catene della superficialità, del “va” o dell'”andrà tutto bene”. Quando di “andrà tutto bene” ci si può ammalare e persino morire! Ecco perchè, riesumare dalla spessa coltre del bonismo imperante quelle che sono le passioni e le pulsioni ataviche dell’animo umano può fare risorgere più forti, come il mito dell’araba Fenice, dalle proprie ceneri. “Una cosa è sapere, altro è non sapere”, la frase ricorrente che suona quasi come un anatema o il vaticinio di un dio, nella serenità sconfortata di quella consapevolezza di cui prima, parole che rimbombano nella sala a tutt’altezza di quella villa Ricotta, simbolo e mito del personale e dell’altrui incompiuto. Luogo in cui la dimora e il suo personaggio si fondono e si fanno un tutt’uno, fra l’oro delle pareti e il nero delle austere ringhiere in ferro battuto. Qui, mentre l’autore si confessa, malcelata emerge la ricerca ostinata di quel Dio perduto, nell’arte come nella vita, cifra prima e ultima dell’esistenza di un ateo che fra le pagine dei suoi racconti chiosa con l’ultimo “Il santo ateo”. I racconti di Mario Ricotta pulsano di umanità e verità, spesso imperfette, quasi sempre nascoste, mentre la penna -pur sempre clemente- affonda nelle viscere del recondito, alla scoperta dell’assassino che ci abita per ivi redimerlo. Come non riconoscersi ne “Il percorso sbagliato”? O non partecipare dell’emotività de “Il piccolo profugo”? appena tredici righe e una sentenza mai pronunciata. E “La prostituta e la santa” che la dice lunga in fatto di apparenza e luoghi comuni, sui confini, non sempre netti fra una verità e la sua negazione, e su quella parte di sè da se stessi negata. Ma da parte dell’autore non c’è mai giudizio! Piuttosto una fuga, necessaria, “nel surreale, dove spesso emigra per sopravvivere, tanto intensa è la partecipazione al dolore umano”. Un dolore che Mario Ricotta ha iniziato a percepire e a (de)scrivere quando aveva appena undici anni ed era un allievo del Seminario di Caltanissetta che ispirò le pagine sconvolgenti de “La mia santità”. E, quasi per un contrappasso obbligato, la potenza della parola, fattasi “logos” per l’occasione, cattura il lettore, spingendo in una dimensione altra da cui “un tipografo si sentì costretto ad interrompere la battitura di un’opera teatrale in preda ad una crisi d’angoscia”. “Era quello che volevo”, la risposta, per nulla sorniona, dell’autore de “La Bottega all’angolo”, altra opera inquietante messa in scena a Mussomeli nel dicembre del 1989, che ha catturato l’animo degli spettatori. “Il grido e l’attesa”… “arriverà il padre…” ad evocare l’iconico Beckett che, per quegli inciampi non meglio identificati della vita, andò a finire, in forma di stralcio, sulla panca dello studio di quel seminario che invero fu “croce e delizia” di tutta una vita. Al tempo Mario Ricotta aveva appena quattordici anni. E voleva farsi prete! “Volevo diventare santo. Quelle battute di Vladimiro ed Estragone mi entrarono dentro l’animo, indimenticabili, perennemente presenti”. Ma anche il Nobel siciliano, così come lo “scuoti-scene” di Romeo e Giulietta, hanno avuto non poca influenza sulla produzione artistica dello scrittore e drammaturgo locale che, a dirla tutta, di locale ha solo l’appartenenza fisica e territoriale. Perchè la sua opera è davvero oltre i confini dell’appartenenza. L’opera di Mario Ricotta è universale. Di lui e dei suoi scritti si è occupato il fior fiore della critica nazionale, come Dario Bellezza, Renato Tomasino, Guido Valdini, Roberto Burgio, Luigi Reina, Dante Maffia, Salvatore Ferlita, Angela Cardone, per fare solo alcuni nomi. Inoltre, circa vent’anni fa, Salvatore Falzone ha pubblicato una tesi universitaria su Mario Ricotta che raccoglie commenti e giudizi sulla vastissima opera di scrittore e drammaturgo e narratore. “Ora”, intanto che lo scrittore pensa ai suoi inediti, ci siamo concessi la battuta, in virtù della stima e della confidenza che al “personaggio” ci legano, “attendiamo chi scriverà di Lei, caro dottore Ricotta…!”. Laddove la perfezione rimane e non può che essere così!- un’utopia. “L’imperfezione è il sale della vita e persino la scrittura deve fare i conti con una forma che, mentre dà vita, imprigiona l’indicibile”, -ed ecco che torna Pirandello con i suoi “personaggi”- “e ogni autore deve fare i conti con l’insoddisfazione della stesura”. Dentro quel teatro, più o meno imperfetto, che è la vita e che finisce sempre allo stesso modo, ma in mezzo c’è tutto lo stordimento incestuoso della farsa. Intanto, scusandoci con l’autore, per l'”imperfezione” di questa recensione che non può tradurre appieno quello che vuole essere il pensiero del redattore sull’argomento, vi ricordiamo che il volume è acquistabile in qualsiasi libreria, previa ordinazione, o su Amazon cliccando su https://www.amazon.it/Racconti-imperfetti-Imperfect-tales-Ediz-bilingue/dp 8859199085. Intanto è disponibile anche in versione Ebook.
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