Caltanissetta – Carcere a vita per la primula rossa di Cosa nostra Matteo Messina Denaro. Lo ha inchiodato alle sue responsabilità la corte d’Assise di Caltanissetta con un verdetto emesso nella notte,
Il boss di Castelvetrano, introvabile da oltre un quarto di secolo, è stato ritenuto in quel gotha che ha deliberato le stragi del ’92. Ma è ricercato anche per stragi del ’93 a Firenze, Milano e Roma
Le carneficine di Capaci prima e via D’Amelio poi, in cui morino, il 23 maggio di ventott’anni fa il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Di Cillo e Antonio Montinari e il 19 luglio, sempre del 1992, in via D’Amelio, hanno perso la vita il procuratore aggiunto Paolo Borsellino e gli agenti Vincenzo Li Muli, Agostino Catalano, Eddie Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi.
E lui, Messina Denaro – assistito dagli avvocati Giovanni Pace e Salvatore Baglio – sarebbe stato al fianco di Totò Riina nella pianificazione di quella stagione stragista con una vera e propria dichiarazione di guerra da parte di Cosa nostra allo Stato.
Durante l’istruttoria che si è celebrata a Caltanissetta, hanno deposto anche diversi collaboratori di giustizia come Gaspare Spatuzza, Antonino Giuffrè, Giovanni Brusca e Vincenzo Sinacori. E agli atti del procedimento sono entrati pure i verbali di interrogatorio dei pentiti ascoltati nei processi in cui il boss Messina Denaro è stato imputato a Palermo e Trapani.
Messina Denaro – secondo gli inquirenti – avrebbe preso parte, a ottobre del 1991, al summit mafioso di Castelvetrano in cui sarebbe stato pianificato il progetto di assassinare Falcone. Alla riunione c’erano anche il boss Totò Riina, lo stesso Sinacori, e Giuseppe Graviano. Fu in quella occasione che Riina parlò della «supercosa»,