Acquaviva Platani – “Ho lavorato giorno e notte, caricando latte pure il giorno di Natale. Per desiderio di crescere e non lasciare spazio ad altri. L’invidia è una brutta bestia. Io amo la gente che cresce”. Joe Ricotta, il milionario acquavivese, naturalizzato english, che, con la terza media serale, ha costruito una fortuna. La sua. Oggi è tornato residente ad Acquaviva. Padre di Paola, Cristina, Luciana e nonno di due nipoti, della beneficenza ai bambini sfortunati ne fa una priorità. “La vera ricchezza?”, “la famiglia”, sostiene! La storia di Joe Ricotta, un biglietto andata e ritorno per il mondo, è il racconto di chi ce l’ha fatta. Una storia quasi “semplice”, che non ha pretesa di insegnare, ma che, allo stesso tempo, non disdegna di dire la sua. Sulla vita e il suo modo di affrontarla. Che forse non potrà ribaltare le sorti di un destino già scritto… o forse chi lo sa… ! Ha l’aria compìta Joe -un pò Al Pacino, un pò Robert De Niro- nell’anonimo blu del brand mattutino, quasi il tentativo di voler passare inosservato in un contesto che, esaltando, rinnega. Con quei trenta denari sempre in tasca, pronto a barattare il proprio interesse con la fregatura altrui. Estroverso per natura, guardingo per necessità, a quindici anni, ancora imberbe, l’adolescente con l’ansia di “crescere”, “riparte” per l’Inghilterra. Con una valigia e senza soldi. Ha iniziato a lavorare quando aveva appena sette anni sui camion, al soldo del padre. “Non amavo la scuola, ma del lavoro non mi sono mai preoccupato”. Secondogenito e unico maschio di quattro figli, Joe che, manco a dirlo, all’anagrafe fa Giuseppe, nasce in
Inghilterra da emigrati acquavivesi. “Mio padre caricava cocomeri dalle serre e li portava al mercato”. Si è formato così, in questo ambiente laborioso e industrioso, il buon Joe, a cui non si possono certo negare un certo intuito e un ottimo fiuto per gli affari. La sua vita, secondo l’autore di se stesso, si sarebbe consumata tutta in quel di Henfield, dove il padre era emigrato nel ’61, in cerca di una sorte migliore. Ma le radici chiamano, e così, a undici anni, Joe è costretto a seguire il padre che decide di ritornare in Patria. Siamo nel ’77 e allora si faceva così, si partiva, si facevano i soldi e si tornava. Ma a non tornare qualche volta sono i conti a tavolino. E per Joe, andò esattamente in questo modo. Acquaviva gli stava stretta già da adolescente, “capivo che qui non potevo crescere e io volevo fare cose grandi. Non potevo accontentarmi”. La vita, il vissuto gli hanno insegnato, suo malgrado, ad essere attento, a tratti diffidente. “La gente pensa che, per quanto tu sia ricco, debba essere per forza stupido. E cerca sempre di fregarti. Da queste parti!”. Persino un’intervista se la vende cara, il caro Joe Ricotta, nome ormai noto fra le divine star di Holliwood. Che, una volta fatto ritorno oltremanica, contro il volere paterno e il dolore materno, dovette fare la gavetta, trasportando casse di ortaggi, ma stavolta sotto l’egida dello zio. Passarono appena due anni ed ebbe la prima conferma della sua intuizione. Tutta la famiglia lo raggiunse. Persino suo padre che avrebbe fatto il patto col diavolo pur di non farlo ripartire “Evidentemente avevano capito tutto”. Sentenzia col senno di ieri. Partito a bordo di una motozappa con la quale si guadagnava da vivere, adesso viaggia in aereo privato, mentre il suo parco macchine, fra gli altri, annovera sedici Ferrari serie Speciale. “Mio padre ha lavorato con i suoi tre fratelli per trentasei anni e, per più di sette lustri, sono andati avanti sempre allo stesso modo. Sempre e solo con sei camion. Contenti di quello che riuscivano ad avere. Una cosa per me inconcepibile. Io ho voluto fare sempre di più. Non negando di avere arrischiato e sofferto. Ma alla fine sono riuscito nel mio intento!”. Ci ha visto lungo il ragazzino che, a un certo punto, ha l’ardire di chiedere in prestito ad un meccanico 5.000 sterline. Così d’emblée! “Giuseppe si chiama”, si racconta e ci racconta Joe, mentre dipana il filo della memoria. <<Volevo comprare un camion e alla domanda “quando te le devo ridare?” la risposta fu “quando ce le hai”. E non avevamo neanche tanta confidenza allora -altri tempi (ndr)- poi però ha lavorato per me per ventotto anni” Nel ’90, Joe si sposa, dopo quattro anni di fidanzamento con Josie “Ma travagliu nun n’avia. Mi arrangiavo facendo un pò di tutto. Poi la svolta, il 18 febbraio di quello stesso anno, lo ricordo come fosse ieri, eppure sono passati trentacinque anni, -è l’unico momento in cui la sua voce ha un’inflessione (ndr)- mi hanno commissionato il trasporto di sei pedane, un lavoro che mi portava in perdita. Ma accettai lo stesso. E mi cambiò la vita. Da quel giorno non mi sono mai fermato!”. Dopo sei mesi, Joe restituì le 5.000 sterline e cominciò a investire i proventi del lavoro in proprietà e mezzi. Fu questo il momento della crisi, perchè quello che guadagnava lo investiva. Col risultato di essere sempre a rosso. Ma la crisi, lo sappiamo, è quel momento che ti fa crescere, nel giudizio, come la parola stessa vuole. E l’esperienza conferma. La fortuna aiuta gli audaci, certo. Ma anche uno spiffero di vento può minare una base non solida. Nel 2000 inizia una collaborazione con un’azienda produttrice di latte con un solo mezzo di trasporto. In quattordici anni i mezzi impiegati sono diventati duecentosettanta articolati e quattrocento rimorchi”. Il segreto? “Basta risolvere i problemi alla gente”, risponde candido, “e loro si affideranno a te”. Nel 2015 vende la compagnia. “Perchè?” chiediamo “perchè me l’hanno pagata bene” e se la ride mentre fra pollice e indice snocciola quel senso del denaro tradotto in una gestualità che all’improvviso ci restituisce il genio e il talento di sicula memoria. Aveva capito che non c’era più margine di crescita, era arrivato al massimo. E che -ci permettiamo di chiosare- negli affari, non ci puoi mettere il cuore. Quello no. E’ un lusso che il denaro non paga. Così inizia a cimentarsi negli investimenti immobiliari a Marbella. Oggi ha una villa in vendita per 70 milioni. “Non volevo studiare ma per numeri sono stato sempre bravo”. “Adesso, sarebbe possibile replicare questo modello economico?”, l’Inghilterra oggi non è più la terra di qualche anno fa. Sono 14 mila le persone che si sono trasferite per il peso fiscale”. Dunque, Joe è tornato residente in quel paesino di pochissime anime da cui era fuggito, ambizioso, all’inizio dei mitici anni ’80. Il contrappasso delle volte arriva anche in terra. E per contrasto. Ma, non è detto, perchè lui sornione, con quel senso dello humor, a metà fra il siculo e il british, ci fa uno sberleffo “ad Acquaviva siamo pochi, e per questo viviamo tranquilli”. Quando ha voglia di cambiare aria, parte per la Toscana, si diverte coltivando il suo hobby, mangiare e bere. “La bottiglia più costosa?”, “un Solaia da settecento euro che mia madre allungò con della lemonade”. Con le figlie c’è ma sempre un passo indietro. “E’ bene che sbaglino i figli. Ma meglio mentre ci sono i genitori”. Intanto, da trent’anni l’emigrato, fortunato e un pò sfrontato, sostiene la causa dei bambini che lottano contro una malattia incurabile, aiutandoli ad esaudire il loro “ultimo desiderio”. Joe Ricotta fa parte del Comitato di Make-A-Wish, la Fondazione che si occupa di dare un momento di gioia ad un bambino che non ha un futuro in cui sperare. Può essere “l’incontro con un calciatore, con un pilota o un giorno a Disneyland. Non di rado è un desiderio che coinvolge tutta la famiglia”. La cerimonia si svolge al Dorchester Hotel di Londra alla presenza di personaggi famosi, dove, durante una cena di gala, si batte un premio all’asta. Il ricavato va a favore della causa. E in quella magia, trenta bambini andranno ad incassare il lasciapassare per un piccolo sprazzo di felicità. Aveva proprio ragione Joe, quando pensava che avrebbe realizzato “cose grandi”… !





























