Home Cronaca Cresta sulle buste paga, imprenditori condannati e dovranno risarcire

Cresta sulle buste paga, imprenditori condannati e dovranno risarcire

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Caltanissetta – Prima avrebbero pagato loro lo stipendio con assegno e poi avrebbero preteso la restituzione i parte della retribuzione. Prendere o lasciare.

Una vera e propria cresta sulle busta paga e poi tant’altro che non sarebbe stato riconosciuto loro in termini economici. Da qui la sentenza di condanna, nel nuovo passaggio in aula, che ha ribaltato l’assoluzione di primo grado.

Questa è la lettura del verdetto d’appello emesso a carico di due imprenditori che sono stati condannati per estorsione con l’aggravante, per l’accusa, di avere commesso il fatto con abuso di autorità.

Sono due nisseni, il sessantanovenne Gaetano Abate e la moglie, la sessantacinquenne Laura Piscopo. Lei è stata amministratrice unica della «Almas srl», mentre il marito ne era membro. Ma poi la società è stata travolta dal crac finanziario.

Ora sono stati condannati di 3 anni e 5 mesi di reclusione , oltre al pagamento di una multa di 700 euro e il risarcimento dei danni in favore delle parti civili. Per loro il sostituto pg Carlo Lenzi ha avanzato una richiesta di quattro anni di carcere.

L’indennizzo è stato riconosciuto a Valeria Pennisi,  Rita Daniela Sabatino e Rosa Maria Lo Cascio – assistite dagli avvocati  Dino Milazzo, Cristian Morgana  e Martina Vurruso – le tre dipendenti che sarebbero state in qualche modo taglieggiate.

Così ha sentenziato la corte d’Appello presieduta Da Pasqua Seminara – consiglieri Giovanbattista Tona e Carmelo Faro Faussone – che ha inferto il colpo di spugna al primo pronunciamento quando marito e moglie sono stati assolti, quattro anni fa, perché «il fatto non sussiste».

Per oltre un paio di anni le tre parti civili avrebbero lavorato alle dipendenze della «Almas» prima del licenziamento per cessata attività.

In questo arco temporale, secondo l’impianto accusatorio, sarebbero state costrette a restituire parte dello stipendio loro pagato. E in più avrebbero lavorato a tempo pieno pur essendo inquadrate con contratti part-time. E anche molte ore di lavoro straordinario non sarebbero state retribuite. Ed è dalla loro denuncia che ha preso le mosse l’indagine che, adesso, in appello, ha fatto scattare le condanne dei loro ex datori di lavoro.

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