Gela – Tutti colpevoli per una morte bianca. Nessuno escluso. Così si è chiuso il processo che ha preso le mosse dal decesso di un dipendente della raffineria di Gela.
In particolare per l’incidente sul lavoro che è costato la vita dell’allora trentenne gelese Francesco Romano. Il giovane, padre di due figliolette, nove anni fa è rimasto schiacciato da una grossa tubatura. Un incidente evitabile secondo l’accusa e le parti civili.
È – seguendo un ordine secondo entità della pena – di un anno e otto mesi la condanna per Alberto Bertini, Bernardo Casa, Fabrizio Zanerolli, Marco Morelli, Nicola Carrera, Patrizio Agostini, Rocco Fisci Sandro Iengo e Serafino Tuccio; diciotto mesi per Angelo Pennisi, Vincenzo Cocchiara e Mario Giandomenico; sedici mesi a Salvatore Marotta, tutti della società per cui la vittima lavorava.
Chiudono il quadro tre assoluzioni che hanno interessato, in particolare, Fabrizio Lami, Guerino Valenti e Ignazio Vassallo.
Ma non è tutto. Già perché il giudice ha anche riconosciuto ai familiari della vittima, costituiti parte civile, il diritto a un risarcimento dei danni che verrà stabilito in un successivo procedimento civilistico.
Gli imputati sono stati tirati in ballo per rispondere, a vario titolo, dei reati di omicidio colposo e violazione delle norme di sicurezza.
Alla base della tragedia, secondo l’accusa, vi sarebbe stata una profonda carenza di misure di sicurezza all’interno di quel cantiere.