Vallelunga – Lui, il presunto boss, ha negato le accuse. Contestando quella tesi che lo avrebbe voluto come esecutore materiale di un delitto per vendicare l’uccisione del padre.
Un omicidio – quello del barista gelese Giuseppe Failla – a cui il capomafia vallelunghese «Piddu» Madonia – per l’accusa – avrebbe fornito il placet e che il sancataldese Cataldo Terminio avrebbe portato a compimento.
E lui, Terminio, s’è difeso a muso duro mettendo in discussione le dichiarazioni rese dall’ex collaborante sancataldese Leonardo Messina. E la difesa ha pure chiesto la produzioni di verbali dello stesso Messina con dichiarazioni rese ai magistrati nel 1992 e nel 1994 e al maxi processo Leopardo.
Il presunto sicario, rendendo dichiarazioni spontanee, ha respinto totalmente il teorema accusatorio che lo ha trascinato alla sbarra insieme, oltre a Madonia, all’ex capo della famiglia di Cosa nostra di Caltanissetta, Angelo Palermo e il gelese Angelo Bruno Greco – difesi dagli avvocati Sergio Iacona, Flavio Sinatra, Cristina Alfieri, Giuseppe Piazza ed Eliana Zecca – tirati in ballo ognuno con un proprio ipotetico ruolo.
I familiari di Failla, ucciso nell’ottobre di trentaquattro anni fa – assistiti dall’avvocato Giovanni Bruscia – sono parti civili