Caltanissetta- È affondando i colpi che le parti civili, al processo d’appello per il presunto depistaggio sulla strage di via D’Amelio, hanno chiesto le condanne dei tre poliziotti sotto accusa.
Sono Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei che facevano parte del gruppo d’indagine Falcone- Borsellino. E i legali di parte civile – che rappresentano la famiglia Borsellino e tre fra coloro che sono stati condannati ingiustamente per la strage e poi assolti nel processo di revisione, nel fare riferimento «a una mafia istituzionale e una stragista», si sono rifatti alle richieste del procuratore generale di Caltanissetta, Fabio D’Anna che ha già proposto la pena a 11 anni e 10 mesi per Mario Bo e 9 anni e mezzo per Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. Tutti e tre accusati di calunnia. Almeno in primo grado, perché adesso, in appello è stata contestata loro l’aggravante di avere favorito la mafia.
È stato rimarcato dai legali come soprattutto «sia stata negata la verità ai figli di Paolo Borsellino», il procuratore aggiunto di Palermo ucciso, insieme agli agenti della sua scorta, il pomeriggio del 19 luglio del 1992 con un’autobomba esplosa sotto casa della madre.
Gli stessi avvocati hanno ribadito come «sia stata costruita una falsa verità» e in tal senso hanno posto l’accento sul ruolo oscuro di Arnaldo La Barbera a capo del gruppo d’indagine Falcone-Borsellino. E i tre poliziotti ora sotto accusa, per i magistrati sarebbero stati suoi fedelissimi nel creare una falsa verità “indottrinando” quel Vincenzo Scarantino che ha poi accusato uomini innocenti, perché costretto a raccontare una versione che avrebbe insabbiato la “vera verità”.
Un depistaggio di una tale portata, quello che sarebbe stato messo in atto e che non avrebbe precedenti, che avrebbe finito per negare, al Paese intero, ma soprattutto ai figli di Paolo Borsellino, ora costituiti parti civili, di sapere cosa sia realmente accaduto. Chi, oltre la mafia, abbia voluto la morte del loro padre insabbiando poi tanti fascicoli a cui Borsellino stava incessantemente ed efficacemente lavorando nel momento in cui è stato massacrato. E, peraltro, al di là del mistero dell’agenda rossa, al suo ufficio sarebbero stati apposti i sigilli sei ore e mezza dopo la sua uccisione.