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L’avvocato Porcello accusata di mafia. «Rinnego la mafia che fa schifo e chiedo perdono a Dio e alla giustizia»

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Caltanissetta – Sbatte con clamore le porte in faccia alla mafia. Che le ha distrutto una brillante carriera professionale e condizionandone per sempre, in maniera più che radicale, anche la sua vita da donna. La ormai ex avvocatessa cinquantaduenne Angela Porcello, che da affermata penalista si si sarebbe poi trasformata in boss per amore, ora scelto di chiudere in maniera eclatante con il passato. E lo ha fatto tra le righe di una lettera aperta dai contenuti forti. Lei che, è questa sarebbe stata la svolta in negativo della sua vita, è stata compagna di un imprenditore che era stato già condannato per mafia. E a lui ha accennato, senza mai citarlo espressamente, rimarcando come «tra i rapporti che rinnego e mi vergogno primo fra tutti, quello, invero, già interrotto prima del provvedimento di fermo emesso, con l’uomo, oggi coimputato, che, come lui sa bene e credo ricordi, ho amato infinitamente, fidandomi ciecamente».

E nel suo affondo contro lui è andata oltre. «Nei confronti di questi oggi non provo né odio né rancore né come donna né come imputata perché questi disvalori non albergano e trovano posto nel mio cuore, nei suoi confronti provo solo pena. Pena per un misero uomo che mi ha usata, strumentalizzata, messa in ridicolo, le intercettazioni parlano chiaro, senza avere la pur minima dignità di uomo, se di uomo può parlarsi, di preoccuparsi e tutelare il mio ruolo di professionista e soprattutto di madre. Ero accecata da una persona rivelatasi spregevole, ma chi nella vita almeno una volta non si innamora della persona sbagliata? Io nel fare questo l’ho fatto in maniera sin troppo esagerata», è la sua mara considerazione.

Ma è in maniera netta che, adesso, l’ex avvocatessa che ha chiesto lei stessa di esser cancellata dall’albo professionale, ha preso posizione.

«Dichiaro formalmente e sostanzialmente, in maniera troncante e categorica, la mia decisa e personale dissociazione da qualunque associazione di stampo mafioso o criminale e da tutti i suoi affiliati e membri siano essi imputati o partecipi, liberi oppure detenuti, o non raggiunti ancora da provvedimenti giudiziari», si apre la sua missiva.

È in carcere dalla notte tra il primo e il 2 febbraio scorso quando, non senza clamore, è stata arrestata nella maxi retata antimafia ribattezzata «Xydi» perché accusata di avere fatto parte dell’organizzazione mafiosa. Nel suo studio, per l’accusa, si sarebbero tenuti importanti summit di mafia.

«Mi pento profondamente di essere stata componente – ha aggiunto – anche se minuscola ruota di un gigantesco ingranaggio, del sistema “mafia” nel territorio della provincia di Agrigento. Mi pento anche e soprattutto, in forza della mia coscienza umana, religiosa, di donna, di madre e di figlia. La rescissione e dissociazione che ho inteso e intendo ancora concretizzare, dimostrare, manifestare nei comportamenti dichiarativi e nel relativo percorso collaborativo, iniziato ma non completato, senza alcun riserbo o reticenza, è maturato dopo essermi resa conto del male profondo ed irreversibile che ho fatto a mia figlia, a mia mamma, al povero mio papà deceduto mentre ero in carcere, ed infine, ma è la cosa che meno mi interessa, a me stessa. A questi miei più cari ed amorevoli affetti ho rovinato in maniera non reversibile la loro vita, questo fatto non me lo perdonerò finché avrò vita e coscienza», è un altro passaggio della lettera da cui traspare il suo grande tormento.

«Negli anni – è andata avanti –  quasi 25 di lavoro, ho preso atto che da Cosa nostra si esce per “morte”, perché si è “posati” usando il loro gergo, o per “rescissione o dissociazione”… Bene, ad oggi, purtroppo non sono ancora morta, e non sapete quanto l’ho auspicato; non sono stata e, comunque, non intendo da questi soggetti essere né posata, né altro, non voglio che nella mia vita abbiano rapporti con me, che agiscano per me o con me o contro di me, sono io che mi dissocio da loro rescindendo ogni rapporto, ogni gesto, qualsiasi lontano modo di vivere e pensare. Condanno tutto quello che rappresenta ed impersona quel mondo fatto di prevaricazioni, soprusi, ricatti e tutto quello di schifoso ed inimmaginabile attraversi quel modo di vivere».

E, tornando ai due trascorsi con l’uomo che l’avrebbe trascinata nel vortice della mafia ha evidenziato che «sono stati due anni di oscurata follia che mi hanno portato a porre in essere dei comportamenti riprovevoli causati da una cecità sentimentale che ha ucciso la mia anima e la mia vita. Mai in questi due terribili anni ho commesso, né ho istigato a commettere azioni criminali con armi, estorsioni, danneggiamenti ed altro. Ho solo follemente preso parte quale componente indotta dal rapporto con l’unico soggetto con il quale mi sono correlata per ragioni esclusivamente sentimentali. Il mio contatto associativo in questi maledetti due anni è stato realmente posto in essere con il solo soggetto che voi conoscete, quanto agli altri mi sono limitata a difenderli e niente di più».

Poi un forte appello contro la mafia ed a starne lontani, spiegando pure le ragioni, adesso, della sua decisione.

«Perché signor giudice la “mafia” vive, si nutre, prolifera spesso di gesti, di parole, di proclami, di sottese solidarietà che consentono di creare quella rete di rapporti criminali. Ebbene questa mia dichiarazione vuole essere un contro-messaggio alla mafia, a quanti guardano alla mafia, a quanti stanno per intraprendere questo cammino prima accanto e poi dentro la mafia. A tutti quelli che pensano di avvicinarsi alla mafia io dico sappiate che la mafia fa schifo, che la mafia uccide la vostra dignità, riduce un essere a non essere se stesso, umilia le coscienze, devasta la persona e quelli che le stanno accanto. Ecco questo mio piccolo gesto vuole essere un gesto riparatore verso lo Stato, vuole essere un contributo che riscatti la mia coscienza, vuole essere un modo per chiedere scusa a quanti hanno perso la vita per combattere la mafia, per chiedere scusa allo Stato ed al mio ordine professionale».

Poi, riferendosi a quello che è stato un prima tentativo d’intraprendere un percorso di collaborazione con la giustizia, percorso che non si è concluso, anzi, ha lanciato una sorta di appello alla magistratura.

«Ai pubblici ministeri dico: quello che sapevo ve l’ho detto e se mi darete l’occasione continuerò a dirvelo, nei limiti delle mie conoscenze, ma sappiate che il mio rapporto con quel mondo era limitato ad una sola persona, che, come avete avuto modo di leggere e vedere, oltre a strumentalizzarmi, mettermi in ridicolo ed usarmi mi raccontava l’ovvio ed a volte il noto. Non ho nel mio animo nessuna volontà e coscienza di nascondere fatti per tutelare soggetti che mi hanno ucciso e che hanno ucciso il futuro di mia figlia. Se voi pensate che io possa fare questo, sappiate che sarei ancora più spregevole di chi rimane fedele alla mafia perché avrei per la seconda volta ucciso il futuro e la vita di mia figlia, che questa volta non avrebbe alcuna ragione e motivo di perdonarmi. Oggi mi sento libera da quei maledetti due anni, libera di dire che la mafia fa schifo. Libera di esprimermi come realmente il mio cuore mi indica».

E la sua lettera si chiude con un chiaro messaggio: «Signor giudice il mio è un percorso irreversibile di redenzione, che vuole portare quanti ho fatto del male a perdonarmi ed a accogliermi quando Dio e la giustizia me ne ridaranno l’opportunità. Grazie per avermi ascoltato e soprattutto perché di queste mie dichiarazioni essendo verbali ne resti traccia a voi, alla giustizia, a mia figlia, senza che mi importi cosa ora ne sarà di me». Messaggi forti, anche sofferti, che l’ex avvocatessa ha voluto lanciare gridando forte il suo rinnegare la mafia.

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