Caltanissetta – Il rebus ruota attorno a una cicca di sigaretta. Trovata sul luogo del delitto e lì, secondo la tesi investigativa, l’avrebbe abbandonata uno dei killer. Ma quel mozzicone, ed è stata anche la stessa procura generale di Caltanissetta a sollevare la questione, si presenta schiacciato e deformato come se fosse stato spento in un posacenere. Non avrebbe avuto proprio le caratteristiche di una cicca gettata lì e, peraltro, sul terreno che quella mattina era stato bagnato dalla pioggia. Ombre sulla verità.
È una delle incognite, ma non sarebbe la sola, saltata fuori al processo per il delitto del trentottenne di Riesi, Salvatore Fiandaca, assassinato il 13 febbraio del 2018.
Per questo delitto siedono sul banco degli imputati quattro riesini, il trentaquattrenne Pino Bartoli, il trentottenne Gaetano Di Martino, il trentaduenne Michael Stephen Castorina e il ventitreenne Giuseppe Antonio Santino, colui che quel mozzicone lo avrebbe lasciato nella zona dell’agguato. A loro – assistiti dagli avvocati Giovanni Maggio, Vincenzo Vitello, Michele Ambra e Angelo Asaro – è stato contestato il reato, in concorso , di omicidio aggravato dalla premeditazione oltre al porto di armi.
Imputazioni che nel primo grado del giudizio è costata loro la condanna al carcere a vita.
A processo in corso è stata riunita a questo troncone una quinta posizione, quella del trentaduenne riesino Loris Cristian Leonardi – difeso dagli avvocati Carmelo Terranova e Giada Faraci – accusato di porto d’arma e ricettazione di fucile , lo stesso che – secondo l’accusa – il commando avrebbe utilizzato per uccidere Fiandaca, i cui familiari – assistiti dagli avvocati Walter Tesauro e Giovanni Pace – sono parti civili.
E nel primo passaggio in aula Leonardi ne è uscito con la pena a cinque anni di carcere.
Sia lui che Santino, si sono difesi respingendo le originarie accuse degli inquirenti. «Credo che qualcuno gliel’abbia portata», ha sostenuto Santino riferendosi a quella cicca ricondotta a lui. «Non conoscevo nemmeno la vittima, non c’entro nulla… da cinque anni sono detenuto e non ho capito il perché», ha aggiunto lo stesso imputato parlando al cospetto della corte d’Assise d’Appello presieduta da Andreina Occhipinti, a latere Gabriella Natale, mentre la procura generale è rappresentata dal sostituto Antonino Patti.
Peraltro il suo difensore, l’avvocato Maggio, già in primo grado aveva chiesto di acquisire alcune immagini girate da impianti di videosorveglianza. In particolare quelle vicino l’abitazione del suo assistito e del bar, di Di Martino, in cui, secondo la ricostruzione dell’accusa, dopo l’agguato i killer si sarebbero andati a lavare con la benzina nel tentativo di cancellare tracce di polvere da sparo. Ma nessuna di queste registrazioni è mai stata acquisita.
E anche Leonardi ha spiegato di conoscere appena la vittima, ma pure lui si è difeso sostenendo la sua estraneità rispetto alle contestazioni che gli sono state mosse.