Caltanissetta – Mezze ammissioni dal boss ma nessun nome. Nulla, in sostanza, è uscito dalla sua bocca che riguardasse l’organizzazione mafiosa.
Così il boss di Riesi, Francesco Cammarata durante il breve esame a cui s’è sottoposto durante il processo in Assise legato a una tranche della maxi inchiesta De Reditu.
«Ho fatto parte dell’organizzazione mafiosa fino al 1997… poi non ne ho saputo più nulla», ha spiegato lo stesso Cammarata.
E nel momento in cui il presidente della Corte gli ha chiesto chi fossero i capi, ha tagliato corto con un «non so nulla perché ero in carcere».
Così, sostanzialmente, si è chiuso il suo esame al processo che vede alla sbarra anche i suoi fratelli Pino e Vincenzo Cammarata, Orazio Buonprincipio, Franco Bellia , Gaetano Cammarata, Giovanni Tararà, il presunto boss di Mazzarino, Salvatore Siciliano e Salvatore Salamone – assistiti dagli avvocati Carmelo Terranova, Vincenzo Vitello, Danilo Tipo, Davide Anzalone, Adriana Vella e Isabella Costa – finiti in giudizio per rispondere, a vario titolo, di omicidio e tentato omicidio.
Imputazioni legate a cinque omicidi e tre falliti agguati consumati negli novanta nell’area tra Riesi e Mazzarino nella faida scoppiata in quegli anni.
In particolare le uccisioni di Angelo Lauria, Michele Fantauzza, Pino Ferraro, Gaetano Carmelo Pirrello, Andrea Pirrello ed i tentati omicidi di Salvatore Pirrello, Tullio Lanza e Salvatore Pasqualino.
E nei confronti degli imputati, i familiari delle vittime e il Comune di Riesi – assistiti dagli avvocati Annalisa Petitto , Boris Pastorello, Walter Tesauro, Maria Giambra, Anna Maria Sardella, Paolo Testa, Giovanni Vetri, Antonio Gagliano e Vincenzo Salerno – si sono costituiti parti civili.