Palermo – Finiti i trent’anni di latitanza dell’ultima primula rossa di Cosa nostra. Il boss Matteo Messine Denaro è stato arrestato a Palermo dai carabinieri del Ros.
È in una clinica privata, la Maddalena dove si era presentato per sottoporsi a cure, che i reparti speciali dei militari lo hanno preso.
L’operazione è stata coordinata dal procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido.
Messina Denaro, ritenuto tra i mandanti delle stragi di Capaci e di via D’Amelio – nella veste di reggente . della provincia di Trapani – era ricercato dal lontano 1993 anche per associazione mafiosa mafioso, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto ed altro.
Su lui pendono decine di condanne al carcere a vita. A cominciare dalle stragi del ’92, Capaci e via d’Amelio, per l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino, sequestrato nel novembre del 1993 e poi tenuto prigioniero per lunghissimo tempo fino a quando è stato strangolato e il corpo poi sciolto nell’acido.
E, ancora, su di lui le condanne per gli attentati messi a segno nel 1993 a Milano, Firenze e Roma, perché accusato di aver conservato in una cava del trapanese una parte dell’esplosivo usato per le bombe agli Uffizi di Firenze e alla chiesa di San Giorgio al Velabro a Roma.
Matteo Messina Denaro, figlio del boss Ciccio, fedelissimo di Totò Riina, è stato prima killer di fiducia dello stesso Riina e Bernardo Provenzano. E rapidamente, sempre sotto l’ala di Riina, avrebbe scalato i vertici di Cosa nostra divenendone il capo incontrastato dopo le catture, nell’ordine, di «Totò ‘u curtu» prima e «Bimmu» Provenzano poi.
Adesso, dopo trent’anni di latitanza e la terra bruciata che è stata fatta negli anni nella sua rete di protezione, è stato catturato dai carabinieri scrivendo un’altra importantissima pagina nella storia della lotta alla mafia
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