Home Cronaca L’architetto Giuseppe Maria Spera ritrova documento autografo di Paolo Emiliani Giudici.

L’architetto Giuseppe Maria Spera ritrova documento autografo di Paolo Emiliani Giudici.

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La storia è complessa e un poco ingarbugliata. E le origini si perdono in quella notte splendente del Rinascimento italiano che tante, e tanto importanti, opere produsse in Italia, grazie anche a quel genio artistico, tutto italiano appunto, che fu Michelangelo Buonarroti. Ora, cosa lega il “divin artista” ad un altro genio creativo, ma questa volta tutto mussomelese, ce lo racconta, con l’euforia tipica della scoperta, l’architetto Giuseppe Maria Spera che, come in ogni giallo che si rispetti, vedi caso, è anche un pronipote del Giudici, al secolo Giudice. Un architetto, Spera, con il pallino della ricerca. E quindi della scoperta. “Che Paolo Emiliani Giudici amasse l’arte, non è una novità”, esordisce l’architetto, “ma potere toccare con mano il manoscritto che attesta il fatto, veramente, è tutta un’altra storia. Si era detto dell’esistenza di un’opera inedita di Paolo Emiliani Giudici su Michelangelo. Vi sono, a riguardo, testimonianze scritte sul giornale “Farfulla della domenica” che attestano dell’esistenza di un’opera in due o tre volumi su Michelangelo, scritta da Giudici. Di quello che egli stesso stesso definisce “capolavoro”, l’autore ne parla con un professore di Bologna, certo Antonino Amici, originario del trapanese che avrà la fortuna di leggere l’opera tra il 1870 e il 1872, anno della sua morte, in un periodo in cui Paolo Emiliani Giudici passava da Bologna, l’ultima volta che fu in Italia. “Voglio parlare della storia di Michelangelo e dei suoi tempi. Le dichiaro solennemente che, non avendo più bisogno di guadagnare sui miei lavori, li regalerò tutti a lei, incluso il mio lavoro su Michelangelo che sarà in due o tre volumi. Qualche anno dopo Paolo Emiliani Giudici annunciava al fratello che l’opera era stata terminata e Amici ebbe a definirla “meravigliosa”. Ebbene, trattasi di uno studio breve, “Il Ricoglitore fiorentino” di cui Spera ha ritrovato un estratto, i numeri 11 e 12 del testo che narrano della “Fortuna” con riferimento dello studioso mussomelese ai versi del settimo canto della Divina Commedia. Nel descrivere brillantemente le fattezze della Fortuna quale donna che con una mano dispensa favori e con l’altra li ritrae. L’opera si trova a Firenze, ben custodita presso la Biblioteca Fiorentina. Mentre l’altra opera, ossia quelladi Michelangelo, descritta e candidata all’autenticità, fra le tante copie esistenti, sembrerebbe essere, a rigor di logica, quella che, ad oggi, si trova presso la Collezione Privata Sotheby’s intitolata “Allegoria della Fortuna” della “Cerchia di Michelangelo Buonarroti”. Poichè è anche possibile che, come si era soliti fare a quel tempo, il maestro iniziava l’oera che i discepoli poi ultimavano. L’allusiva personificazione femminile arrivò, due secoli addietro, esattamente nel 1843, nelle mani di un certo Vincenzo Botti, restauratore fiorentino, che acquista il dipinto da un rigattiere ma si accorge immediatamente di avere fra le mani qualcosa di importante. Restaura l’opera sicuro che si tratti di un Michelangelo. Si confronta con Paolo Emiliani Giudici che a quel tempo insegnava a Firenze ed entrambi concordano sull’attribuzione. Da lì inizia la ricerca.
Il Condivi, un discepolo di Michelangelo che non aveva una buona mano, a sua volta, scrive una biografia sul maestro dove sono spiegate le caratteristiche di questo dipinto, generando una accesa diatriba fra sostenitori del si e del no. E da qui prende le mosse l’opera di Paolo Emiliani Giudici “La Fortuna, quadro di Michelangelo Buonarroti”. Ancora oggi, purtroppo, non sappiamo quale sia la versione autentica. Ma già al tempo Giudici aveva scritto “Speriamo che rimanga in Italia”. Le attese dello scrittore, con molta probabilità, saranno state tradite, poichè il Botti sicuramente avrà venduto e perdipiù all’estero. Il mistero si svela grazie ad un’incisione di Davide Testi, conservata al Museo di Cambridge, che serviva da catalogo per la vendita. Quasi sicuramente, “come mi attesta uno studioso tedesco che ho avuto il piacere di conoscere, l’opera è di Alessandro Allori, un allievo del Bronzino, ed è stata commentata da Paolo Emiliani Giudici”.

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