Mussomeli – “Se paghi una volta sei schiavo per sempre”. Gli studenti dell’I.P.S.E.O.A. e I.P.S.A.R. dell’Istituto superiore Virgilio di Mussomeli, a scuola di legalità con l’imprenditore Vincenzo Conticello.
Una bella storia di mafia e pizzo non pagato. Antica ma anche moderna. In occasione del XXXI anniversario della strage di Capaci -il primo grande attentato della mafia contro la giustizia- per iniziativa della prof.ssa Maria Vittoria Mancino, in collaborazione con le colleghe Vincenza Calà, Silvana Giardina e Concetta Tona, tutte le classi dell’Istituto professionale hanno potuto ascoltare, dalla sua viva voce, la testimonianza dell’imprenditore che si rifiutò di piegarsi agli estortori.
Presenti il dirigente, dott. Vincenzo Maggio, il sindaco on. Giuseppe Catania; l’assessore alle Politiche sociali, dott. Daniele Frangiamore; il capitano Giuseppe Tomaselli, comandante dei carabinieri; il luogotenente carica speciale Salvatore Imbesi, comandante della Guardia di Finanza e il personale docente.
Palermo 2005, la città di sempre, con i suoi demoni e i suoi santi e l’opulenza dell’architettura di ogni tempo a testimomianza del suo glorioso passato. Sono trascorsi ventiquattro anni da quando l’impresario tessile Libero Grassi ha avuto il coraggio di denunciare i mafiosi. Ma purtroppo non gli andò bene. Da allora sembrava che non ci fosse più nessuno capace di opporsi alle cosche mafiose, invece fu proprio quello l’anno in cui i proprietari dell’Antica Focacceria San Francesco -un’istituzione dello street food palermitano, fondata nel 1834, icona della tradizionale cucina casareccia palermitana, oggi Cirfood, dopo essere passata per Feltrinelli e citata nel Gambero Rosso- seguono l’esempio di Grassi.
“Non pagare all’Antica Focacceria è una tradizione di famiglia, assieme allo sfincione” e al rinomato panino con la milza -schietto o maritato- ma nei primi del 2006 a casa Conticello si scatena l’inferno. In Italia i testimoni di giustizia sono solo settanta. Un numero che purtroppo parla da solo e -ahinoi!-anche chiaramente. Vincenzo Conticello è uno di loro. Uno che continua a raccontarla e la dice lunga sul suo passato e sull’epilogo della sua triste vicenda. Per poco non morì di paura quella sera in cui all’Addaura, a pochi passi dal fallito tentato a Falcone del 21 giugno 1989, mentre, in moto, stava facendo ritorno a casa, due a bordo di uno scooter lo hanno aspettato in una stradina e buttato a terra. Era da poco passato l’ennesimo Natale e la mafia palermitana, solerte, gli aveva presentato il conto con quindici colpi di pistola, sparati in aria. Fu un attentato intimidatorio che portò all’arresto e al processo degli aguzzini ma non finì lì. Per la famiglia dei denuncianti inizia il calvario del programma di protezione testimoni. Tutti sotto scorta e in posti diversi. “Ancora oggi viviamo lontani dai nostri affetti, dal mare che è la sintesi immaginifica delle mie mancanze” riferisce con un tono di malinconia il combattivo principe dei fornelli, non però senza un tono di malinconia e di risentimento che si accentua quando rincara “ma il mare manca solo a me, perchè coloro che mi hanno distrutto a poco a poco, infiltrandosi all’interno della mia azienda, facendola impoverire, secondo un meccanismo tipioco di cosa nostra, adesso circolano a piede libero, anche al mare appunto, mentre a me è stata pure sospesa la scorta, il 14 dicembre 2018, per cessato pericolo. Cosa questa che, nonostante il lavoro encomiabile di collaborazione che hanno svolto i carabinieri, la guardia di finanza e la magistratura nel corso delle indagini, ad oggi mi lascia un pò l’amaro in bocca. Tuttavia non rinnego mai la mia scelta perchè ancora oggi, girovago e senza protezione, mi sento un vincitore. Ho dato motivazione ad altri imprenditori che hanno seguito il mio esempio”, in Sicilia, tra il 2008 e il 2011 le denunce sono aumentate.
La storia, in verità, inizia da parecchio più lontano con vari e incompresi -ai tempi- atti di sabotaggio verso il locale e i clienti. Poi il “corteggiamento” da parte di “u scintilluni” -così detto perchè brillava per la notevole caratura di oro di cui si ricopriva- proposte di accordi per il pagamento dalla raffinata economia azidendale, fino all’assunzione di un dipendente a 2.000 euro al mese, avvenuta, sotto la diretta tutela delle istituzioni, nella piazza Mercato di Porticello. Poi l’indebolimento progressivo dell’azienda che in un momento di massima debolezza fu rilevata totalmente dal socio che deteneva il 49%.
Alla domanda del pm Francesco Del Bene su chi fosse l’uomo che andava a chiedere il pizzo, in un’aula di tribunale il 18 settembre 2007, l’imprenditore replicò senza alcuna esitazione, indicando uno degli imputati del processo, Giovanni Di Salvo: “E’ quel signore lì, quello seduto e che ha accanto le stamplelle”. Oltre a Di Salvo, erano imputati anche Francolino Spadaro, figlio del boss della Kalsa, Tommaso e Lorenzo D’Aleo con l’accusa di estorsione ai danni dello storico locale palermitano.
Se in napoletano ‘a scella è l’ala degli uccelli, dal latino axilla, ossia ascella, il termine “pizzo” è molto meno nobile e non solo nell’etimologia. Esso deriva da becco, l’organo con cui appunto si “pizzulia” e si fa pulizia di ogni singola cosa. Pure delle briciole ma non solo!