Caltanissetta – Mafia, droga, pizzo e omicidi. Con le donne, mogli e parenti dei boss, a rivestire un ruolo più che attivo. C’è tutto questo nella maxi operazione dei carabinieri ribattezzata “Chimera” e coordinata dalla Dda di Caltanissetta. In totale sono 69 gli indagati, dei quali 37 in carcere, 13 ai domiciliari, 5 le misure interdittive – tra loro due medici e un avvocato – e sono 14 indagati in libertà.
È stato smantellato lo storico clan mafioso della Stidda di Mazzarino, legato alla famiglia Sanfilippo, in passato al centro di una sanguinosa faida.
Nel gran calderone dell’inchiesta anche un paio di omicidi. Più in dettaglio lupare bianche, una nel 1984 con la sparizione di Benedetto Bonaffini, l’altra nel 1991 quando Luigi La Bella è stato prima torturato e poi ucciso.
E a questa esecuzione avrebbero assistito i figli del boss Salvatore Sanfilippo, a quel tempo ragazzini. Lui, il boss, che si sarebbe vantato adesso con il nipotino di essere stato il “chirurgo senza anestesia”, per via delle torture inflitte allo stesso la Bella, prima di essere ucciso.
Quello che il procuratore facente funzione di Caltanissetta. Roberto Santi Condorelli ha etichettato come «laurea del rispetto».
Episodi che sono venuti a galla riscontrando le vecchie dichiarazioni di un collaboratore di giustizia che a quel tempo non avevano trovato conferme. Adesso sì, attraverso intercettazioni raccolte in carcere dai carabinieri.
Coinvolti nell’operazione anche due medici ritenuti compiacenti e che avrebbero redatto certificazioni a beneficio dei Sanfilippo e anche un avvocato che si sarebbe adoperato per fare acquisire al clan terreni.
Fondi, secondo l’accusa, che la mafia avrebbe voluto strappare ai proprietari per intascare i contributi previsti per le coltivazioni.
Altro aspetto chiave dell’indagine è quello legato alla droga che avrebbe viaggiato sull’asse Gela-Calabria con solide ramificazioni anche nel Milanese. Con forti collusioni con il clan Guerra di Cinisello. Fiumi di cocaina quelli che sarebbero stati smerciati grazie, soprattutto a un grosso fornitore gelese.
E uno dei boss sarebbe stato stipendiato proprio dal gruppo malavitoso lombardo legato alla Stidda mazzarinese. Tant’è che al ramo milanese degli indagati è stato contestato il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Era un clima quasi di terrore quello che sarebbe stato imposto dalla Stidda a Mazzarino, con ad esempio, un parrucchiere e un pescivendolo costretti a servire grati gli affiliati. E uno di loro, ribellatosi, sarebbe stato pestato a sangue.