E’ stato un capodanno take away, dove la parola d’ordine è stata solo una: l’asporto. La diagnosi incontrovertibile dai saggi che da due anni impartiscono ordini e divieti era stata fatta. Il cancro pandemico che flagella l’Italia era il festeggiamento pubblico. Un pubblico esercizio di ipocrisia, quasi quanto la vetusta assunzione del buonismo generalizzato natalizio. In un clima sempre più pasquale e surreale, la vittima sacrificale era stata scelta, con un anatema last minute, attraverso il decreto chiamato festività, anche se c’era poco da festeggiare dato che ha creato lutto nel settore della ristorazione, dell’intrattenimento e, in generale, nel comparto della ricorrenza che, come se fosse la massa tumorale di questa emergenza senza fine, andava asportato. Il risultato è che ci si è abbandonati alla lascivia festaiola privata. Peccare si ma nel segreto. Il risultato di questa cura palliativa e puritana è stata una disfatta: ristoranti vuoti e ospedali pieni. Bonus vacanze sì, in estate però, ora le mascherine di contraddizione sono andate giù solo tra le mura domestiche. Nei locali la vigilanza sarebbe stata garantita o almeno più elevata ma si è preferito una soluzione di facciata, una delle tante che si stanno facendo oggi, ma senza bonus per chi ha pagato il conto per tutti. Oggi i parafulmini predestinati sono gli over 50. La pandemia è ormai un credo che crea proseliti, profitti ed effimere soluzioni tampone. L’obbligo vaccinale per chi ha raggiunto il mezzo secolo- è noto anche ai bambini – da solo non è bastevole e non ci salverà ma, ancora una volta, occorreva una exit strategy per distrarre e prendere tempo. E’ un inizio? In questo marasma siamo stanchi di inizi, siamo alla ricerca matta e disperatissima di una fine che non arriva. Né conforta la primogenitura italiana dell’obbligo vaccinale. “Siamo stati i primi” esultano con compiaciuta tracotanza molti promotori dell’ennesima misura che dà la misura delle inadeguatezze delle scelte finora adottate. Il Belpaese – non sfuggirà a nessuno – è stato primatista anche nel lockdown, nei banchi con le ruote e in altri provvedimenti “andràtuttobenisti” eppure l’agognata immunità di gregge, l’infinito rinvio del superamento della fase acuta che ad ogni mese è aggiornata a data successiva, sembrano avere messo a dura prova la granitica pazienza degli unici eroi di questa pandemia: i cittadini comuni che lavorano o vorrebbero lavorare.
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