Gela – Non ci sta al provvedimento che lo ha privato delle sue sostanze. E sarà la Suprema Corte a decidere sul destino di quelli che sono stati i suoi possedimenti.
In ballo ci sono beni per un valore stimato intorno al mezzo milione di euro. A rivolgersi alla Cassazione è stato un ambulante gelese, Rosario Consiglio, dopo il sequestro confermato sia dal tribunale che dalla corte d’Appello.
La misura patrimoniale a suo carico è scattata sull’onda del suo coinvolgimento in una inchiesta antimafia e dal processo che ne è derivato ne è uscito con una condanna, ma ancora tutt’altro che definitiva.
Da questo scenario ha preso corpo l’ipotesi, secondo i magistrati, che quei beni possano essere il frutto di affari sporchi o che, ad ogni modo, siano in qualche modo riconducibili ad attività legate alla criminalità organizzata.
Quanto al contesto attorno a cui ruota l’intera vicenda, tra accusa e difesa – com’è comprensibile che sia – la distanza è notevole.
Già perché se secondo i magistrati l’ambulante sarebbe stato in qualche modo sotto il manto della mafia – questa è la tesi accusatoria – di contro la difesa ha fornito tutt’altra lettura.
Una teoria diametralmente opposta, quella difensiva, sia in relazione al suo ruolo – per i suoi legali lui sarebbe stato piuttosto vittima della criminalità – quanto alla provenienza dei beni che, piuttosto, sarebbe assolutamente lecita perché frutto della sua attività nel commercio