Caltanissetta – Affari sporchi con imprese cartiere e teste di legno. Un volume da oltre cento milioni di euro quello scoperto dalla guardia di finanza con un’operazione con dieci arresti, diciassette misure interdittive e sequestri di beni per trenta milioni di euro – a tanto ammonterebbe l’evasione d’Iva – che ha toccato diverse aree del Paese. La base operativa sarebbe stata individuata nel Catanese, ma con diramazioni sparse.
Tant’è che a capo della presunta organizzazione vi sarebbe stato un detenuto in regime di “carcere duro”, il 41 bis , a Sulmona. Sarebbe il quarantunenne Filippo Intelisano, incensurato figlio di un presunto appartenente al clan Santapaola.
In dieci sono stati arrestati nell’operazione delle fiamme gialle, nome in codice «Ultimo brindisi» e sono stati sequestrati beni a diciassette società.
In carcere sono finiti i catanesi Fabio Spina , Filippo Intelisano, Milena Bulla, Vincenzo e Andrea Maria Carelli e il salernitano Concordio Malandrino.
Agli arresti domiciliari , il paternese Settimo Carlo Abate ed i catanesi Christian Parisi, Gianluca Russo e Virgilio Papotto.
Sono accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla evasione e frode fiscale e più episodi di bancarotta
Pioggia di misure interdittive, diciassette in particolare – di cui sedici imprenditori e un ragioniere – per i catanesi Carmela Anfuso, Marzia Concetta Greco, Sebastiano Piro, Enrico Romeo Liotta Guarnieri, Domenica D’Agata, Antonio Di Giorgio, Pietro Giuseppe Angemi, Agatino Mazzeo – tutti catanesi – Gabriele Natale Costantino, Carmine Costantino, Rosa D’Amico – del Messinese – il milanese Roberta Indraccolo, il padovano Fabio Zagolin Bettin ed i romani Marco Ziccardi, Alessandro Brugnoli e Claudio Ricci.
Per un anno nessuno di loro potrà fare impresa o rivestire ruoli in uffici e funzioni direttive o amministrative in società di persone o capitali.
Secondo la tesi accusatoria, la presunta rete organizzata avrebbe commercializzato bevande in Italia evadendo l’Iva su acquisti da San Marino, dove avrebbero potuto contare su una loro azienda. E, poi, in particolare, avrebbero acquistato prodotti senza Iva falsamente destinati a mercati esteri.
Contestati pure guadagni illeciti per qualcosa come seicentomila euro, passando per falsi corsi di formazione per i dipendenti e crediti d’imposta inesistenti.