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«Da Vaccaro arrivò l’ordine di uccidere il milocchese Tona che ebbe contrasti col capomafia di Mussomeli»  

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MUSSOMELI – L’ordine di uccidere il milocchese Pietro Tona sarebbe arrivato da Lorenzo Vaccaro che, poi, avrebbe pagato con la vita per questa sua direttiva. A svelarlo sono stai alcuni collaboratori di giustizia, a cominciare dall’agrigentino,  Ignazio Gagliardo, tra le pieghe dell’inchiesta su mafia e delitti nel vallone ribattezzata «Gallodoro».
È un intreccio d’interessi economici, vendette e lotte di potere quello che emerge dalle rivelazioni rese ai magistrati della Dda nissena da ex uomini di Cosa nostra, del Vallone e dell’Agrigentino, che  poi hanno deciso di saltare il fosso
L’agguato a Pietro Tona, consumato nel lontano ’96  e di cui s’è autoaccusato il campofranchese Maurizio Carrubba –  secondo gli inquirenti – sarebbe stata una risposta dell’ala vicina  Bernardo Provenzano per l’uccisione dei fratelli riesini D’Alessandro.
Tona, secondo la tesi dei pentiti, era legato da un particolare feeling con la mafia agrigentina – tant’è che  a un certo punto avrebbe pure sostenuto la latitanza del boss Salvatore Fragapane. E quando è stato assassinato, Fragapane era stato già arrestato. E tra lui, il milenese, e il capomafia di Mussomeli, Sebastiano Misuraca, a capo dello stesso mandamento, sarebbero sorti contrasti. Per appianarli sarebbe stato organizzato un vertice. A dividere i due sarebbe stata una richiesta di pizzo che lo stesso Misuraca avrebbe avanzato nei confronti di un’impresa mussomelese che stava effettuando lavori a  Milena. In particolar e l’impresa Nigrelli di Mussomeli stava realizzando un mercatino a Milena. E, secondo il pentito agrigentino Gagliardi, dal punto di vista mafioso Milena non avrebbe goduto di particolare forza  e sarebbe stata guidata dai “campofranchesi”.
E, come risposta, Tona avrebbe chiesto all’ora boss di Racalmuto, Di Gati, d’intervenire per bloccare, in relazione all’appalto in questione, lo stop alla fornitura di calcestruzzo che era stata affidata a Gagliardo.
E quest’ultimo sarebbe stato chiamato  dai tre uomini d’onore di Milena – indicati dallo stesso Gagliardo in «Ciccu Randazzo, Pietro Tona e zu Pepè Tarallieddru» –  per bloccare la fornitura. E il titolare dell’impianto di calcestruzzi ne avrebbe parlato con l’imprenditore di Mussomeli che aveva ricevuto l’appalto per realizzare il mercatino. E per questa storia vi fu una riunione mafiosa.
E, ancor prima della riunione, per dirimere la questione, si sarebbe poi tenuta a Milena in casa di Francesco Randazzo, il “mammasantissima” Sebastiano Misuraca avrebbe affidato la gestione della vicenda a Lorenzo Vaccaro, di Campofranco.
A quella riunione in casa di Randazzo avrebbero poi partecipato lo stesso Tona, Misuraca, Giuseppe Palumbo, Lorenzo Vaccaro e gli agrigentini Gagliardi, Di Gati. Gli ultimi due sono arrivati a quel summit armati di pistola. Pronti, secondo gli stessi collaboranti, a sparare al comandamento di Mussomeli, Sebastiano Misuraca, nel caso in cui la situazione fosse degenerata. Ma in quella circostanza, neanche Di Gati, nonostante il legame con Tona, avrebbe potuto prendere le difese di quest’ultimo. E tirandosi un po’ fuori avrebbe investito della questione il campofranchese Lorenzo Vaccaro.
Lo stesso Di Gati, riferendosi sempre alla situazione mafiosa nel Nisseno,  ha rivelato che dopo la cattura di Giovanni rusca «’u verru», avrebbe partecipato a un summit che si sarebbe tenuto nella casa di campagna di Pietro Tona. Sareberostati presenti anche Giuseppe Palumbo, Vincenzo Licata di Grotte, Carmelo Milioto e Giuseppe Vetro di Favara, Giuseppe Fanara di Santa Elisabetta Leonardo Fragapane e, per il nisseno, Pino Cammarata di Riesi e Gaetano Falcone di Montedoro. E in quella circostanza sarebbe stata deliberata l’uccisione di Lorenzo Vaccaro, che avrebbe creato malcontento nella gestione dei guadagni derivanti dalal estorsioni. E di questo si sarebbero lamentati Tano Falcone e Pietro Tona.
In questo incrocio di vendette, poi, Vaccaro avrebbe fatto uccider e Tona. Ma poi il fronte opposto in Cosa nostra avrebbe ottenuto vendetta. Perché nel gennaio del ‘98 Lorenzo Vaccaro e il suo autista, Francesco Carrubba sono stati uccisi in un agguato a Catania. Il rappresentante provinciale di Cosa nostra nissena, Giuseppe «Piddu» Madonia, non avrebbe avallato il progetto di assassinare Lorenzo vaccaro. Perché a lui sareb estato legato da affetto.
Tra le pieghe delle sua rivelazioni, il collaborante Di Gati ha riferito che vi fossero stati malumori per un paio di ragioni. Perché in carcere Domenico «Mimì» vaccaro non avrebbe rivelato a Fragapane chi aveva ucciso Tona. E perché lo stesso Vaccaro, durante l’ora d’aria,  non sarebbe rimasto insieme a uomini d’onore, ma avrebbe passeggiato con detenuti comuni.

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