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Delitto di Caltanissetta, spunta la pista del caporalato

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Caltanissetta – Con la vita avrebbe pagato il suo ruolo di paladino per connazionali sfruttati nelle campagne. Questo il nuovo fronte investigativo per il delitto del trentaduenne pakistano,  Adnan Siddiqueucciso la notte del 3 giugno nella sua abitazione nel centro storico di Caltanissetta.

È la nuova pista che i carabinieri stanno battendo e che segnano gli ultimi sviluppi dell’inchiesta che ha fatto scattare gli arresti  dei pakistani Muhammad Shoaib, 27 anni, Alì Shujaat, 32 anni, Muhammed Bilal, 21 anni, e Imrad Muhammad Cheema, 40 anni e il connazionale Muhammad Mehdi, 48 anni – assistiti dagli avvocati Salvatore Baglio, Manuela Micale, Dario e Riccardo Miccichè –  arrestato per favoreggiamento.

I primi quattro restano in carcere – due a Caltanissetta gli altri ad Agrigento – mentre il quinto, il sospetto favoreggiatore, è stato rimesso in libertà con l’obbligo di firma.

Gli inquirenti stanno adesso valutando questa nuova tesi del caporalato con braccianti pakistani sfrutta che si sarebbero rivolti a Siddique in cerca di aiuto perché parlava benissimo la lingua italiana.

E, in precedenza, aveva pure accompagnato uno di loro in caserma per denunciare  i presunti “caporali” che avrebbero preteso una percentuale sulle paghe dei braccianti, che avrebbero fatto ingaggiare per lavorare in campagna.

Per questo, in passato, avrebbe subito più di un’aggressione da coloro che poi, secondo la tesi accusatoria, sarebbero divenuti i suoi carnefici.

Una teoria che ha preso corpo dopo gli interrogatori dei sospetti assassini che, al cospetto dei magistrati, si sono contraddetti su più aspetti della vicenda.

Non sono poche le discrepanze emerse dalle loro tesi difensive, su fatti e presunti protagonismi. Nessuno di loro ha espressamente accusato altri, ma i loro racconti hanno viaggiato su piani divergenti.

Mentre i due arrestati nel Canicattinese, hanno riferito agli inquirenti che il loro caso sarebbe solo un errore di persona.

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