Caltanissetta – Dal teste chiave alla base di quattro ergastoli che verrà sentito , alle audizioni del tecnico che ha montato microspie sull’auto di colui che avrebbe raccolto una ipotetica, dubbia, verità su un omicidio. E v’è altro ancora. Non è stato di certo avaro di sussulti il processo per il delitto del riesino Salvatore Fiandaca, assassinato nel febbraio di sei anni fa.
E per questo agguato sono alla sbarra i riesini Pino Bartoli, Gaetano Di Martino, Michael Stephen Castorina, Giuseppe Antonio Santino – assistiti dagli avvocati Giovanni Maggio, Vincenzo Vitello, Michele Ambra, Angelo Asaro e Adriana Vella – usciti dal primo processo con la pena all’ergastolo e il giovane Loris Cristian Leonardi – assistito dagli avvocati Carmelo Terranova e Giada Faraci – che avrebbe fornito il fucile calibro 12 per mettere a segno l’imboscata.
Nei loro confronti i familiari della vittima – assistiti dagli avvocati Walter Tesauro e Giovanni Pace – sono costituiti parti civili.
Così la corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta, su richiesta della stessa procura generale e della difesa, ha disposto la riapertura dell’istruttoria dibattimentale per alcune produzioni documentali e audizioni. A cominciare da colui che in primo grado è stato ritenuto una sorta di supertestimone, pur non essendo mai stato ascoltato in aula. E adesso il trentenne riesino potrà raccontare la sua verità. Lui che intercettato a sua insaputa, per l’accusa, avrebbe indicato negli attuali imputati gli autori dell’omicidio Fiandaca. Ma lo stesso teste, in un successivo interrogatorio reso dinanzi i sostituti della procura generale, ha sostanzialmente sconfessato quella interpretazione, asserendo di essere stato in qualche modo influenzato da altri e, ad ogni modo, di avere riportato solo chiacchiere di paese.
Le sue prime dichiarazioni, quelle ritenute accusatorie, sono state intercettate da microspie installate nell’auto di una nota persona, paladino della legalità. Ma la Corte, adesso, tra le pieghe della riapertura del dibattimento vuole appurare le eventuali sollecitazioni che il trentenne potrebbe avere ricevuto da terzi.
E ha anche disposto di sentire il tecnico che quelle “cimici” le ha installate perché sarebbero state sistemate in circostanze ritenute un po’ anomale. Intanto in pieno giorno e, poi, senza alcuno stratagemma per accedere a quell’auto, perché sarebbe stata già aperta. L’auto era quella della stessa terza, e nota, persona in questione.
Queste e altre attività daranno la scossa alla ripresa del processo che, invece, da programma, prevedeva le richieste della procura generale nei confronti dei cinque imputati, di cui quattro accusati di omicidio e il quinto di porto d’arma e ricettazione del fucile utilizzato dai sicari.