Caltanissetta – Loro di quell’azienda che, per l’accusa, sarebbe stata una centrale della ricettazione non avrebbero saputo nulla. E la titolare sarebbe stata tale solo sulla carta, ma a gestire sarebbe stato il marito che, in precedenza, ha già patteggiato. Quanto ai loro due dipendenti sarebbero stati all’oscuro dei presunti affari sporchi ipotizzati dagli inquirenti.
Tradotto nel concreto, s’è tramutato in un verdetto assolutorio per i tre imputati finiti in giudizio per rispondere delle ipotesi di ricettazione e abbandono di rifiuti pericolosi.
Così si è chiuso il processo a carico della quarantaduenne riesina Angela Bontà – sulla carta a capo di una società di autoricambi – e due dipendenti, il venticinquenne Francesco Di Matteo e il cinquantasettenne Gaetano Imbergamo – assistiti dagli avvocati Mirko La Martina, Carmelo Terranova e Isabella Costa – assolti per «non avere commesso il fatto».
Tutto è legato a una ispezione che i carabinieri hanno effettuato in azienda nel dicembre di quattro anni fa. In quella circostanza sarebbero saltati fuori la targa di una Fiat Panda rubata poco prima.
Ma durante quella verifica sono state rinvenute altre parti di macchine di provenienza furtiva, come targhe e telai.
Ma anche motori, pure quelli ritenuti di dubbia provenienza, e che avrebbero fatto scattare l’ipotesi di abbandono di rifiuti pericolosi.