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È all’ergastolo definitivo per avere ucciso e bruciato il figlio, ora il padre chiede la revisione del processo

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Caltanissetta – No alla revisione del processo per un imprenditore accusato di avere ucciso e poi bruciato il corpo del figlio. La corte d’Assise d’Appello di Catania ha ritenuto che non vi fossero elementi meritevoli per la riapertura di un procedimento divenuto definitivo già cinque anni addietro. Ma la questione è stata girata adesso alla Cassazione.

Così per il caso che riguarda l’imprenditore settantaduenne di Riesi, Stefano Di Francesco già condannato definitivamente all’ergastolo per l’uccisione del figlio il trentunenne Piero Di Francesco. La sentenza che ne ha cristallizzato la colpevolezza è del dicembre di cinque anni fa.

Ma il figlicida, come la giustizia lo ha riconosciuto, ha chiesto la revisione del processo alla corte d’Assise d’Appello di Catania, fondando la richiesta su un paio di questioni. A cominciare da una informativa secondo cui l’uccisione del giovane imprenditore sarebbe stata una vendetta della mafia di Riesi perché il padre non avrebbe rispettato gli accordi estorsivi con la mafia di Riesi.

Poi v’è la questione temporale, con due letture differenti tra primo e secondo grado del giudizio. E tutto per la difesa – adesso l’imputato è assistito dall’avvocato Vincenzo Vitello – è racchiuso nei cinque minuti compresi tra le 11.19 e le 11.24 del 9 gennaio 2012. In questo lasso di tempo, ha rilevato il difensore, Stefano Di Francesco avrebbe prima colpito il figlio e ,  ritenendo che fosse morto, ne avrebbe infilato il corpo dentro una vecchia auto parcheggiata nel piazzale dell’azienda di famiglia, per dare poi fuoco. Poi sarebbe andato via da lì perché la moglie lo ha incontrato alle porte del paese e, infine, sarebbe tornato in azienda per spegnere le fiamme gettando sabbia sull’auto al cui interno v’era il corpo del figlio semi carbonizzato.

Secondo la tesi accusatoria, i contrasti tra padre e figlio sarebbero sorti  in relazione alla conduzione dell’azienda di famiglia, la «Tecnoambiente», che si occupava di smaltimento di rifiuti speciali.

Due anni e mezzo dopo la morte del figlio, Stefano Di Francesco è stato arrestato perché accusato di avere ucciso il figlio. E i successivi tre gradi del giudizio lo hanno ritenuto colpevole. Ora spera nella Cassazione per una eventuale revisione del processo.

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