Caltanissetta – La Cassazione blinda le condanne. Quelle inflitte in appello per affari legati a droga e pizzo. E che sarebbero stati gestiti dal carcere. Il capofamiglia recluso avrebbe deciso e i familiari, fuori, avrebbero eseguito.
A impartire le direttive sarebbe stato il cinquantenne Nicola Liardo che s’è visto confermare la condanna a sei anni e nove mesi. Lui che è considerato legato al clan Emmanuello.
La moglie, la quarantasettenne Monia Greco, è rimasta ferma sui quattro anni di reclusione, così come i loro figli, il ventisettenne Giuseppe e la ventinovenne Dorotea Liardo, con la pena a sei anni e mezzo il primo e otto mesi la sorella.
Ultimo degli imputati è Salvatore Raniolo, marito di Dorotea e genero di Liardo e Greco, con la condanna definitiva a tre anni e tre mesi.
Questo il pronunciamento messo in ghiaccio dalla Cassazione che, come chiesto dalla procura generale, ha rigettato gli appelli degli imputati confermando il verdetto emesso dalla corte d’Appello di Caltanissetta. E che già ricalcava il pronunciamento al termine del giudizio di primo grado.
Erano stati alcuni colloqui tra Liardo senior e i suoi familiari, intercettati dagli investigatori, a incastrare i cinque.
Il blitz, scattato nel settembre di sette anni fa, ha fatto scattare sette provvedimenti cautelari, di cui tre a carico delle mogli di presunti boss che avrebbero retto le redini al posto di chi era detenuto. Questo, almeno, è stato il teorema accusatorio con le originarie contestate ipotesi, a vario titolo,
di associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di stupefacenti aggravato dal metodo mafioso – aggravante questa già caduta nel primo passaggio in aula – estorsione aggravata e danneggiamento.