Home Cronaca La passione per gli ultimi dell’Africa dello studente “missionario” acquavivese Vincenzo Federico

La passione per gli ultimi dell’Africa dello studente “missionario” acquavivese Vincenzo Federico

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Acquaviva Platani – A 25 anni è già al suo quarto viaggio in Tanzania, da volontario. Lo strano e fortunato caso di Vincenzo Federico, studente all’ultimo anno di Economia con un’inguaribile passione per l’Africa, acquavivese d’origine e… al momento polacco d’adozione. E proprio dalla Polonia, dove si è trasferito per amore di Paulina, la sua ragazza, Vincenzo ci racconta della sua vocazione nata fra le pareti di casa -dove da sempre ha respirato l’aria del volontariato- e della sua storia di ragazzo viaggiatore al seguito di padre Vincenzo Sorce, fondatore di Casa Rosetta. “Avevo appena sedici anni quando chiesi a padre Vincenzo di andare a Tanga, in Tanzania, dove l’Associazione Casa Rosetta ha fondato un centro di accoglienza per bambini orfani -o comunque senza genitori- sieropositivi di cui alcuni anche disabili”.  Ripercorre così il filo dei pensieri e dei ricordi, Vincenzo, quasi incredulo di se stesso. Perchè certo… per un ragazzino di sedici anni  chiedere di andare a provare l’esperienza del volontariato dall’altra parte del mondo… così “normale” proprio non è.  Oltretutto l’associazine ammette solo volontari esperti e preparati. Ma evidentemente doveva andare così. E per Vincenzo che ricordava le videochiamate che suo padre gli faceva dall’Africa, è stata fatta una piccola eccezione. Che poi si è trasformata in una grande… enorme risorsa. Umana e indispensabile. “Lì è davvero un altro mondo”, incalza Vincenzo “si mangia con le mani, i bambini, tutti con importanti problematiche, si aiutano e si sostengono l’uno con l’altro. Sono esperienze che ti cambiano la vita… tanto più ad un adolescente indolente con poca voglia di studiare”. Poi, a cadenza quasi regolare di un anno, il secondo e il terzo viaggio. Tutti interminabili. Trentasei, Trentotto ore di volo con scali e disagi non indifferenti. Ma tutto questo anzichè scoraggiare ha ulteriormenete alimentato la fiamma del dono. E il “mal d’Africa” si è fatto sempre più forte. Insistente e prepotente, quasi fosse una promessa. “Adesso vivo in Polonia, dove studio, ma non dimentico la mia Sicilia. E neanche i bambini africani di cui sento il richiamo a distanza. Di quegli occhi profondi e bisognosi d’amore, pronti tanto a ricevere quanto a donare. Lì ho lasciato un pezzo di me”. E così mentre il richiamo si fa più forte… ancora il destino ci mette del suo… e caso vuole che Paulina che di mestiere fa proprio l’assistente di volo… combina il tutto… e si parte… ancora una volta verso quella terra rossa… di fuoco. Dove tutto è meravigliosamente vivo e vero. Dove vedi che si può gioire anche di niente. Per Paulina è la prima esperienza. Trascorrono dodici giorni all’interno della struttura. Il lavoro è impegnativo, una full immersion nei bisogni dei bambini e dei ragazzi più grandi. L’inglese una priorità. Unico mezzo che possa garantire agli sfortunati bambini un’occasione di riscatto dagli abusi, dalle violenze e dalle mortificazioni subite. La struttura al momento accoglie circa quaranta bambini. Rita, la più piccola, ha appena due anni. A diciotto anni, come previsto dalla normativa, si lascia la struttura. Qui i ragazzi dispongono di un parco giochi, una chiesetta e frequentano scuole “orientate” già da piccoli. Perchè in questi casi non c’è tempo da perdere! E “sono felici i bambini. Nonostante tutto. Lì dentro c’è quella famiglia che hanno perso o che non hanno mai avuto”. La disabilità non è ben vista in Tanzania, anzi è spesso una causa di emarginazione ulteriore. Ecco perchè l’obiettivo che si pone l’associazione è quello di dare un pò di normalità e leggerezza a bambini traumatizzati, con un vissuto terribile. “Renderli normali ha dello straordinario”. E la meraviglia che accade! E mentre Paulina dà lezioni di inglese o risolve una faccenda burocratica, Vincenzo li fa danzare sulle note “swahili”, la lingua del posto che lui peraltro conosce benissimo. Succede però che qualcosa turba lo scenario e l’animo sensibile dei due volonatri viaggiatori insoliti. Un ragazzino è distaccato dal gruppo. Se ne sta in disparte, non partecipa nè fisicamente nè emotivamente. E’ Emanuele, undici anni, e… già… una terribile storia sulle spalle. Emanuele è in struttura da due anni. Per quattro mesi ha vissuto in ospedale combattendo una tubercolosi e un cuore malato. E’ sieropositivo Emanuele ma entrambi i suoi genitori non hanno l’AIDS. E’ stato lo zio -che, abusando di lui a sette anni- gli ha trasmesso la sieropositività. Così ho realizzato la bellezza di quello che si fa lì dentro. Far sorridere e giocare un autoemarginato fra gli emarginati è già un miracolo”. E se l’Africa è un male incurabile, non lo è il resto. In quella terra che ti ammalia mentre ti avvolge e ti coinvolge nella sua sofferenza, nella sua storia dalla pelle nera e dagli occhi di perla. Vera e sfacciata mentre ti sbatte in faccia la sua sofferenza, epurata da un sorriso e da un atto di amore e gentilezza. Adesso Vincenzo e Paulina sono in Polonia e pensano al “nostos”… verso il medio e l’estremo Sud… dove quel cercare è già un trovare!.

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