San Cataldo – Che nell’entroterra siciliano, in quel sud del Sud pressappoco dimenticato dal mondo, vi fosse una proliferazione di opere d’arte tale da determinare la coesistenza di due sculture a distanza molto ravvicinata, davvero ci appare strano e anche assai. Ma nella terra dei paradossi tutto è possibile. Pirandello docet. E, a quanto pare, pure licet. Insomma, a farla -la tentiamo- un poco breve, fatto sta che, all’interno della già citata aiuola spartitraffico, di via Babbaurra, via Stesicoro e viale della Rinascita, da dieci anni, esiste una scultura in pietra di Sabucina, dal titolo “Emblema”, realizzata dallo scultore Calogero Barba e donata dallo stesso alla città in occasione del quattrocentenario della sua fondazione. Ora, a distanza di un decennio appunto, succede che, l’area -quasi fosse l’unico posto del luogo titolato ad accogliere una scultura- diventa destinataria di un altro “monumento” dedicato ai donatori di sangue su richiesta dell’associazione ABzero. Cosa questa che apparentemente, e non solo, avrebbe poco a che vedere con la scultura- scultura a tutto tondo che, nel segnare il ritorno all’arte del levare, definisce forme e sengni dell’arco temporale 1607 – 2007 con la calda e solare Sabucina.
Intanto “i lavori sul sito sono già iniziati dando visibilità di un basamento di ragguardevoli misure e di una modifica dell’area interna dell’aiuola che ha eliminato la vegetazione e il prato verde e determinato il livellamento improprio e la copertura di tutta l’area con pietrisco, eccezione non fatta per l’area su cui insiste strettamente la scultura di Barba. Il quale, sempre per stare dentro quell’aura dei paradossi di cui prima, apprende la cosa…giusto giusto così…per caso…voce di corridoio…in senso reale e metaforico. E, anche questo si sa bene, “vox” di corridoio, “vox vera”. Fu così che Barba, dal temperamento mite ma non troppo, almeno fino a quando non gli toccano i figli -e le opere per un artista, figli sono e pezzi i cori- si reca dal sindaco Gioacchino Comparato e, in uno scenario che, non poco ricorda Don Camillo e Peppone, apprende che il progetto è già stato approvato con “Delibera di Giunta n°34 del 19 marzo 2024 a firma del sindaco Comparato e degli assessori Citrano, Di Salvo e Giarratana”. Accussì…mutu tu e mutu ia. Con altri “intrichi” non meglio specificati circa il cossiddetto “gioco delle parti” in causa. Ma pare proprio che l’amministrazione abbia fatto male i calcoli, poichè, anche questo è risaputo, per le donazioni valgono i diritti d’autore che all’autore proprio, all’indomani della scoperta, fanno sentenziare aspramente che “il sonno del’amministrazione comunale produce mostri”, virando poi anche sui “titoli culturali e professionali che diventano cartastraccia quando non tengono conto di criteri e valori specifici che agiscono sul decoro urbano e sulla storia della città”. Peraltro l’opera in ferro, che invero sembrerebbe già destinata a questo spazio, si preannuncia “di sproporzionate dimensioni per il contesto urbano e per l’area in questione già snaturata, assieme alla scultura Emblema, in quello che era il progetto iniziale. E’ ovvio”, insiste Barba, “che un’opera dedicata ai donatori di sangue, è ben diversa, per concetto, tipologia, soluzione formale, dimensioni e materiale, da quella scultorea, in pietra, che riproduce e sintetizza, nel suo equilibio formale e stilistico, i 400 anni della città, con tutte le simbologie presenti. Concepita per essere fruita da tutti e quattro i lati, a 360° e, quindi, assolutamente non affiancata da altre interferenze spaziali che non farebbero che limitarne la visibilità nella sua completazza. A discapito del messaggio dell’opera. Un danneggiamento sia di natura estetica che etica. Non solo per la mia creatura ma anche per la mia immagine di artista che ne uscirebbe fortemente sminuita. Un fatto che denuncio fortemente come atto di prevaricazione e arroganza”. Conclude così Barba -professore e scultore noto non solo in Italia ma anche all’estero, per il suo linguaggio artistico profondamente innovativo- che si è già attrezzato, nelle sedi legittime, per opporsi a quello che, a buon diritto, ritiene un oltraggio, per la difesa della sua reputazione e del suo lavoro di artista. Non mancando di ammonire che quello di San Cataldo sarebbe il primo caso, “maldestro” in letteratura artistica, di due opere, eterogenee per concezione e finalità, collocate all’interno della stessa aiuola. Quannu nenti, quannu assa’.