Caltanissetta – «Io e mio padre non andavamo granché d’accordo né con Madonia, né con Di Cristina». A sostenerlo è un ex uomo di Cosa nostra chiamato a deporre in un processo su una catena di omicidi di mafia nel Nisseno.
È la “verità” di Calogero Giambarresi, collaborante che ha saltato il fosso parecchi anni addietro. Nel suo racconto ha tracciato un breve spaccato di quella che era la situazione interna a Cosa nostra, ma scivolando parecchio a ritroso nel tempo. Nel periodo tra le fine degli anni settanta e i primissimi ottanta. Troppo per i fatti di sangue al centro del procedimento.
«Le mie conoscenze si fermano a fine degli anni novanta, poi sono state arrestato», ha chiarito in tal senso il collaborante deponendo per videoconferenza. E sui delitti al centro del procedimento ha asserito «di non sapere nulla».
Poi ha aggiunto «di esser stato affiliato alla famiglia di Riesi, non di Caltanissetta… e per me, questo, è stato positivo perché volevo scoprire chi aveva attentato alla vita di mio padre»,
Alla sbarra, in questo procedimento che si sta celebrando dinanzi la corte d’Assise di Caltanissetta , vi sono il boss mazzarinese Salvatore Siciliano, i capimafia di Riesi, Pino, Vincenzo e Francesco Cammarata, Orazio Buonprincipio, Gaetano Cammarata, Franco Bellia , Giovanni Tararà e Salvatore Salamone – assistiti dagli avvocati Carmelo Terranova, Vincenzo Vitello, Danilo Tipo, Davide Anzalone, Adriana Vella e Isabella Costa – tutti accomunati da una stessa imputazione, seppur con qualche distinguo sui presunti ruoli.
Nel loro confronti, i familiari delle vittime – assistiti dagli avvocati Boris Pastorello, Walter Tesauro, Maria Giambra, Anna Maria Sardella, Paolo Testa, Giovanni Vetri, Antonio Gagliano e Vincenzo Salerno – e il Comune di Riesi – assistito dall’avvocatessa Annalisa Petitto – sono costituiti parti civili.
Alla prossima udienza è in programma l’audizione, sempre per videoconferenza, del collaborante riesino Giuseppe Toscano che, di recente, è stato sottoposto a perizia.