Caltanissetta – Loro quelle estorsioni ipotizzate dall’accusa non le avrebbero mai subite. E se qualcuno, tra loro, lo aveva anche riferito già durante le indagini preliminari, in tre, adesso, in aula lo hanno confermato.
Così al processo a quella che per gli inquirenti sarebbe la nuova mafia nissena. Famiglia di Cosa nostra che, sempre secondo gli inquirenti, sarebbe stata capeggiata dal quarantacinquenne Carmelo Antonio Bontempo. Tra i coinvolti, nel giugno di due anni fa, nell’operazione di polizia e direzione distrettuale antimafia ribattezzata «Bella vita».
Tre imprenditori, ora, hanno confermato in tribunale di non avere subito le richieste estorsive o i tentativi che sono stati ipotizzati dall’accusa e che figurano tra i capi d’imputazione che sono stati contestati agli accusati. E qualcuno di questi episodi, in origine, è stato pure oggetto di misure cautelari.
Un imprenditore edile, che secondo l’accusa avrebbero tentato di costringere ad effettuare lavori gratuitamente a un fiancheggiatore del sospetto boss, ha asserito di non conoscere neanche i suoi presunti estorsori.
A un lavaggista, invece, sarebbe stato imposto un prezzo basso per la cessione della sua attività sempre a uno degli imputati. E, infine, a un rivenditore di auto – sempre per l’accusa – sarebbero stati chiesti 400 euro a titolo di pizzo. Ma lo stesso esercente ha poi spiegato che 300 euro sarebbero stati un compenso già pattuito con l’altro per la compravendita di un furgone, mentre quei cento euro in più che il sospetto estorsore avrebbe preteso, non li avrebbe neanche pagati.
I soldi chiesti a titolo di pizzo – è il teorema della procura – sarebbero serviti anche al mantenimento degli affiliati in carcere.
Testimonianze che sono state rese al processo che vede sotto accusa, oltre a Bontempo, anche il quarantatreenne Michele Amico, anche il quarantacinquenne Fabio Meli, il quarantenne Ernesto Mirandi, il quarantaseienne Giovanni Puzzanghera, il quarantaquattrenne Giuseppe Polizzi, il quarantanovenne Francesco Zappia, il quarantatreenne Michele Todaro – passato dalla veste di estorto a presunto favoreggiatore – il trentasettenne Giovanni Vinciguerra, e il quarantaquattrenne Massimiliano Iorio – assistiti dagli avvocati Danilo Tipo, Davide Anzalone, Ernesto Brivido, Sergio Iacona , Walter Tesauro, Gianluca Firrone, Dino Milazzo, Davide Schillaci, Luigi Di Natale e Sergio Scollo – finiti sul banco degli imputati per rispondere delle ipotesi, a vario titolo, di associazione mafiosa, associazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti e singoli episodi di cessione di droga ed estorsioni,.