Caltanissetta – Colpevole, ora come allora. Come solo in appello. Perché in primo grado, per l’omicidio che adesso lo ha inchiodato sulle sue responsabilità, era stato assolto. Ma adesso la Cassazione ha blindato il verdetto che lo ha ritenuto responsabile.
Era e resta di 26 anni di reclusione la pena per un imprenditore edile gelese, il cinquantottenne Giuseppe Cauchi, ritenuto mandante di un delitto in Piemonte.
Quello consumato ai danni del trentaduenne Matteo Mendola, pure lui imprenditore edile gelese, assassinato nell’aprile di sette anni fa.
Cauchi, secondo la tesi accusatoria, sarebbe stata la regia di quella uccisione. Killer sarebbero stati altri due gelesi, già condannati a trent’anni ciascuno per questa vicenda. E proprio uno di loro in un primo momento ha tirato in ballo lo stesso imprenditore, come mandante, per poi fare dietrofront su quella sua versione accusatoria.
Nel primo grado del giudizio il costruttore è stato assolto, ma quel verdetto è stato poi impugnato dalla procura. E nel secondo passaggio in aula è arrivato il totale ribaltamento della decisione con la condanna a ventisei anni di carcere che, adesso, la Suprema Corte ha confermato rigettando l’appello della difesa.
Secondo gli inquirenti la vittima sarebbe stata uccisa per motivi d’interesse. Lo avrebbero attirato in trappola, in un capannone abbandonato, a Pombia, per poi finirlo a colpi di pistola. Poi gli hanno fracassato il cranio con una batteria per auto. E, secondo una prima tesi accusatoria, sarebbe stato lo stesso imputato a fornire un’arma ai sicari. Ma quella pistola non s’è mai trovata.