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Rapina, incendi e pizzo, la “verità” di un collaborante

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immagine di repertorio

Caltanissetta – La “verità” di un collaborante, peraltro pure imputato, in un processo su estorsioni, rapina, armi e incendi. E, perdipiù, all’ombra di Cosa nostra. Così, almeno, hanno ritenuto gli  inquirenti.

La “verità” è quella del sommatinese trentaquattreenne  Giuseppe Taverna – assistito dall’avvocatessa Vania Giamporcaro  – al processo che vede alla sbarra, oltre a lui, anche il trentadunenne di Sommatino, Liborio Gianluca Pillitteri – difeso dall’avvocato Vincenzo Vitello – e il  presunto boss di San Cataldo, Cosimo Di Forte – difeso dagli avvocati Dino Milazzo e Martina Vurruso – di 42 anni .

Sono accusati, a vario titolo, di tentata estorsione , rapina, incendi e armi ,. Ed a loro i magistrati hanno pure contestato  l’aggravante mafiosa.

Il collaborante ha sostenuto «di avere partecipato a un tentativo di rapina in un supermercato di San Cataldo… ma mi sono tolto il passamontagna e sono scappato via», ha spiegato, riferendosi a un tentativo precedente, prima che andasse in porto, poi, l’assalto ai  danni del market «Lomonaco Giuseppe» di San Cataldo . Ma a questa azione il pentito non ha poi partecipato.

Così come ha poi riferito su un incendio di auto. Pure quello, come la rapina, l’avrebbe voluto il cognato, il collaborante di Sommatino Salvatore Mastrosimone che per questa vicenda è statao già giudicato con il rito abbreviato.

La rapina sarebe stata messa  a segno « per bisogno , solo per bisogno di mio cognato», ha poi chiarito il pentito, come d’altronde aveva già sostenuto lo stesso Mastrosimone.

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