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«Tesoro milionario in odor di mafia», scatta confisca da 9 milioni e mezzo a un imprenditore

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Caltanissetta – Confiscati i beni di un imprenditore. Così ha disposto la sezione misure di prevenzione patrimoniali del tribunale di Caltanissetta.

Il provvedimento ha interessato il settantaquattrenne Giuseppe Li Pera e suoi familiari, che erano già finiti nel mirino della Dia di Caltanissetta, con il sequestro scattato nel luglio di tre anni fa.

Adesso lo stesso tribunale, presieduta da Roberta Serio, ne ha disposto la confisca. In ballo vi sono beni per un valore complessivo che è stato stimato in oltre 9 milioni e mezzo di euro.

La misura, oltre che lo stesso imprenditore, ha colpito anche i figli Alessandro, Isabella  e Pamela e Salvatore D’Antoni ,  marito di Isabella – assistiti dagli avvocati Ernesto Brivido, Daniele Osnato, Giovanni Grasso e Rudy Maira – pure loro interessati dall’originario provvedimento.

A carico dello stesso imprenditore è stata pure disposta la misura  di prevenzione, su richiesta della procura di Caltanissetta, «ritenuto la pericolosità sociale».

La confisca ha riguardato l’intero capitale sociale e tutti i beni di tre società, quote di partecipazioni in cinque  società di capitali, sette immobili, quattro autoveicoli e ventidue rapporti bancari.

Al centro delle indagini della Dia, la carriera dell’imprenditore dalla metà degli anni ottanta in poi, con un’ascesa economico-imprenditoriale fatta – secondo l’accusa – da costanti e continui rapporti tra lo stesso imprenditore e il gotha dell’imprenditoria mafiosa.

Peraltro lo stesso Li Pera, nel 2007, è stato condannato per associazione mafiosa, con sentenza divenuta definitiva, al termine del procedimento su “mafia e appalti” che ha tratto linfa da un’indagine del Ros guardando al lontano 1991.

In quello scenario sarebbe emerso il ruolo dello steso impresario, prima dipendente di una grossa società del nord Italia che operava nel comparto delle grandi opere negli appalti pubblici. E, secondo la tesi investigativa, prima si sarebbe impegnato perché la stressa società ottenesse appalti, poi, grazie ai suoi presunti legami con la mafia, avrebbe fatto incetta di lavori con una sua impresa, così da fare improvvisamente lievitare il suo patrimonio.

A un certo punto ha pure avviato un rapporto di collaborazione – era l’estate del ’92 – interrotta otto anni e mezzo dopo. E da quel momento sarebbe iniziata la sua ascesa imprenditoriale – nel campo eolico ed edilizio in particolare, ma non soltanto – di sue società o intestate a presunti prestanome ma che, secondo gli inquirenti, avrebbero fatto capo a lui.

« Un impero milionario conseguito in oltre trent’anni di attività imprenditoriale e rapporti d’affari, intrattenuti anche con diversi boss mafiosi del vertice della mafia siciliana», secondo gli stessi magistrati nisseni.

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