Gela – Al cospetto del gup alcune sue responsabilità le avrebbe ammesse. Non le avrebbe negate così come aveva già anticipato in precedenza.
È il professionista gelese Rosario Marchese, ritenuto peraltro dai magistrati vicino al clan Rinzivillo, tirato in ballo per un meccanismo che avrebbe consentito di raggirare l’erario.
In particolare, secondo la tesi accusatoria sarebbe stato al servizio del clan tirando su un sistema di false compensazioni fiscali. Ne sarebbe stato la regia.
E adesso, al cospetto del gup del tribunale bresciano non ha nascosto un suo ruolo in questo ingranaggio che solo in questa tranche d’inchiesta, secondo l’accusa, complessivamente avrebbe dato vita a un giro di oltre una ventina di milioni di euro.
È tra il nutritissimo esercito d’imputati sul quale pende la richiesta di rinvio a giudizio, anche se alcuni hanno optato per il rito abbreviato.
Secondo lo spaccato tracciato dai magistrati del centro lombardo, sarebbe stato più che folto il drappello di aziende che avrebbero fatto ricorso al sistema – per l’accusa realizzato dallo stessa Marchese – per frodare le casse dello Stato.
In sintesi sarebbero stati fatti risultare investimenti – per gli inquirenti assolutamente inesistenti – in aree svantaggiate.
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