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Ucciso perché «osò» offrire un passaggio alla moglie del boss, atti al processo

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Caltanissetta – In vana attesa del collaborante… che non c’è. Già perché, s’è poi scoperto essere in permesso premio. Da qui il forfait a un processo per mafie agguati.

Ma, di contro, sono stati acquisiti atti  su accertamenti tecnici non ripetibili in relazione al delitto di un riesino che ventitré anni fa è stato ucciso dalla mafia perché avrebbe osato offrire un passaggio alla moglie del boss. Quello è stato ritenuto un affronto e sarebbe stata decretata l’eliminazione di Pino Ferraro.  A ordinare quel delitto sarebbe stato il clan Cammarata.

E in questa tranche processuale sono imputati  i boss di Riesi, i fratelli Pino, Vincenzo e Francesco Cammarata, il presunto boss di Mazzarino, il cinquantaseienne Salvatore Siciliano, il quarantaseienne Giovanni Tararà pure lui mazzarinese e altri quattro riesini, ossia il quarantanovenne Franco Bellia  il cinquantaduenne Orazio Buonprincipio, il quarantaseienne Gaetano Cammarata,  e l’ottantatreenne Salvatore Salamone – difesi dagli avvocati Ernesto Brivido, Carmelo Terranova, Vincenzo Vitello, Danilo Tipo, Davide Anzalone, Adriana Vella e Isabella Costa – accusati, a vario titolo, per cinque omicidi  e tre falliti agguati.

Si sono consumati tra Riesi e Mazzarino nel periodo compreso tra il lontano 1992 e fino al settembre di sei anni dopo.

Il Comune di Riesi  – assistito dall’avvocatessa Annalisa Petitto – ed i  familiari delle vittime  – assistiti dagli avvocati Walter Tesauro, Maria Giambra, Boris Pastorello, Anna Maria Sardella, Paolo Testa, Giovanni Vetri, Antonio Gagliano e Vincenzo Salerno  –  si sono costituiti parti civili nel processo.

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